La ” Carità” come vocazione, la scelta pastorale del nuovo arcivescovo di Napoli mons. Domenico Battaglia. L’attenzione agli ultimi, lo sguardo verso una fraternità possibile che genera speranza e cambiamento, sono il suo travaglio, le sue gioie e persino le sue fatiche quotidiane. Una Chiesa in uscita, che usa”il dialetto della gente”, cioè la porta per entrare nel suo cuore e far capire che Dio ha cura di ciascuno; una Chiesa dell’ascolto e del dialogo, che accarezzi, usi misericordia, compassione, una Chiesa di popolo, non elitaria o esclusiva; una Chiesa povera e per i poveri; una Chiesa conciliare; e di conseguenza una Chiesa avviata su processi sinodali, cioè in cammino; una Chiesa che organizzi la Speranza. Una Chiesa che si sforzi di liberare tutti dalla paura o dalla insicurezza, per vivere basandosi sulla fiducia assoluta in Dio. Già nella vecchia Diocesi di Cerreto Sannita c’era questo Chiesa in Cammino, a Napoli questa Sinodalità dal basso è emersa fin dalle prime battute.
Terra mia, un brano viscerale dell’indimenticato Pino Daniele è stata l’antifona per attirare l’attenzione di politici, autorità di ogni genere, presenti il 2 febbraio nella sede arcivescovile di Napoli. Alle autorià a cui don Mimmo Battaglia ha chiesto miracoli concreti e immediati. Autorità a cui ha parlato di speranza, gratuità, servizio. Autorità a cui ha chiesto di “essere capaci di intercettare e cogliere il grido dei nostri figli più piccoli,più fragili…di non lasciare indietro nessuno…di chinarsi sulle ferite del più povero per medicarne le piaghe, per lenire le ferite della vita.”
E allora in piedi, con le mani levate al cielo non in segno di resa ma di resistenza e resilienza. Un rivoluzionario mite che invoca una lotta contemplativa che invita come pastore dell’Evangelo:” questo è il nostro tempo. Qui ed ora. Siamo chiamati non a salvare il mondo ma ad amarlo. Avversari dell’assurdo, profeti del significato.”