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FILM THERAPY, A COSA SERVE E I SUCCESSI NEL CARCERE DI POGGIOREALE

 

L’Associazione “La Mansarda”, presieduta da Samuele Ciambriello, ha promosso un progetto di “Film Therapy” all’interno della Casa Circondariale di Napoli, Poggioreale. Si tratta di un’attività di volontariato che è stata già ampiamente sperimentata prima negli Stati Uniti, ed in seguito in Italia presso il Carcere di Reggio Calabria, quello di Mantova ed infine presso il Centro Psicosociale di Castiglione delle Stiviere.

In data 20/01/2016, le Dott.sse Vittoria Guglielmi, Ninfa Rossi e Roberta Senese e la Professoressa Angela Piccolo, in qualità di volontarie dell’Associazione “La Mansarda Onlus”, hanno dato il via al progetto insieme ad altre volontarie della stessa Associazione.

Tenuto conto delle difficoltà che i detenuti incontrano durante l’espiazione della pena, si è cercato di indurli ad attuare una riflessione idonea ad affrontare problematiche irrisolte della propria vita, a prendere coscienza della propria condizione e, contemporaneamente, a sentirsi meno soli.

Il progetto, che è ancora in itinere, coinvolge due gruppi di detenuti, provenienti dai padiglioni Firenze e Livorno, ogni mercoledì per un periodo di tempo limitato e precedentemente concordato con l’Amministrazione penitenziaria.

Il primo film sottoposto all’attenzione dei detenuti (Il rosario e la carità) riguarda la storia di vita di Bartolo Longo, fondatore e benefattore del Santuario della Beata Vergine del Rosario di Pompei, successivamente proclamato beato da Papa Giovanni Paolo II.

Padre Bartolo Longo, dopo gli studi in medicina, consegue la laurea in Giurisprudenza nella Napoli della seconda metà dell’800. Dopo un periodo di crisi esistenziale, si avvicina alla fede cristiana ed in particolar modo al Santo Rosario, divenuto poi simbolo di salvezza non solo per lo stesso Bartolo, ma soprattutto per i bambini sventurati di Napoli, orfani o figli di carcerati a cui il Beato dedicò gran parte della sua vita contribuendo alla rinascita di Pompei. Il protagonista arriva così a confutare i pregiudizi del suo tempo, secondo i quali i ragazzi di strada, i figli dei carcerati e dei delinquenti non potevano essere aiutati, né tanto meno recuperati e reinseriti socialmente.

Le riflessioni emerse al termine della proiezione, si sono da subito incentrate sull’importanza dei legami familiari e sulla problematica inerente alla genitorialità, quando all’interno nel nucleo familiare viene a mancare la figura paterna. Molti dei detenuti si sono in questo modo trovati a dover affrontare un profondo lavoro introspettivo, evidenziando quanto sia difficile per loro stare lontano dagli affetti più cari, e di quanto tale mancanza si riversi indubbiamente anche sulla crescita dei figli.

Ciononostante, come sottolineato anche dagli stessi detenuti, non è detto che un figlio cresciuto senza uno dei genitori, perché costretto a scontare una pena, debba necessariamente crescere in maniera disfunzionale e diventare a sua volta poi un delinquente.

 

Il mercoledì successivo i detenuti assistono alla proiezione del film del 1997 Full Monty, pellicola che affronta temi ancora oggi attualissimi. E’ la storia di un gruppo di operai dell’industria dell’acciaio che, a causa della profonda crisi industriale, si ritrovano improvvisamente senza lavoro e senza alcuna possibilità di sostenere le spese necessarie al mantenimento delle proprie famiglie. I protagonisti del film non si perdono d’animo, ed organizzano uno spettacolo di spogliarello sulle note di canzoni divenute famose e che valsero il premio Oscar per la miglior colonna sonora. Il dibattito sorto alla fine della proiezione si è mostrato sin da subito costruttivo e ben inquadrato nei contenuti, mai banali, ben rappresentati soprattutto da alcuni soggetti particolarmente attenti.

Il gruppo ha quindi compreso la morale del film e l’intento del regista, riuscendo a mettere in luce l’importanza della forza di volontà, la quale è idonea, nonostante le condizioni avverse, a far sì che si possano raggiungere i propri obiettivi.

 

Il 3 febbraio, in omaggio all’appena trascorsa giornata della memoria, è stato proiettato il famoso film premio Oscar La vita è bella. Una storia semplice, anche se difficile da raccontare e da ricordare, ma che ha saputo tenere alta l’attenzione dei detenuti, specialmente quelli del padiglione Firenze.

Molti si sono commossi, dimostrando ampiamente quelli che sono i benefici della film-terapia, senza però mai perdere la voglia di confrontarsi e raccontare le proprie emozioni. Alcuni sono rimasti colpiti dal genio del regista, il quale è riuscito a trasformare la guerra e gli orrori dell’olocausto in una grossa bugia a fin di bene pur di non turbare il piccolo protagonista. Altri, hanno rivissuto le loro esperienze familiari, specie chi si è trovato costretto a non dire nulla ai propri figli in merito alla detenzione. Inoltre, vista la presenza di un detenuto di nazionalità tedesca, il dibattito si è spostato sulla crudeltà del regime nazista, su quanto sia sbagliato uccidere o provare odio sulla base di motivi razziali, sottolineando così, in maniera pacata e matura, la diversità delle proprie credenze culturali.

 

Il quarto film è stato “Yes Man”, commedia americana del 2008 basato su una storia vera e con Jim Carrey protagonista. Dopo essere stato lasciato dalla moglie, il protagonista attraversa un lungo periodo “tragi-comico” di depressione, allontanandosi dagli amici ed ottenendo scarsi risultati anche sul lavoro. Su consiglio di un amico, si convince a prendere parte ad un convegno sull’autostima che cambierà letteralmente la sua vita, inducendolo a dire sempre sì, ad aprirsi al mondo segnando così la sua vera rinascita anche in campo sentimentale.

Il dibattito affrontato all’interno di ambedue i padiglioni, si è da subito incentrato su quanto fosse importante ed utile dire sempre si nella vita, e di quanto questo possa essere al tempo stesso rischioso ed idoneo ad indurre gli uomini a commettere degli errori. Alcuni dei detenuti hanno così esternato il proprio rammarico circa le scelte di vita sbagliate, si sono aperti e reciprocamente confrontati su quanto l’iter detentivo porti inevitabilmente a fare i conti giorno dopo giorno con la propria coscienza, e soprattutto quanto sia forte, in alcuni di loro, la voglia di riscattarsi.

 

Mercoledì 17 febbraio solo il padiglione Livorno ha assistito alla proiezione del film “Trainspotting”, capolavoro britannico del 1996. E’ la storia della Scozia degli anni ’90, di una società che ci vuole tutti uguali, tutti con le stesse caratteristiche, quasi indotti a doversi conformare alle stesse scelte di vita improntate al consumismo.

Il protagonista però, insieme ad un gruppo di amici, sceglie letteralmente di “non scegliere”, e cade nel tunnel della tossicodipendenza fino a quando un evento inaspettato ed atroce sconvolge la sua vita e lo obbliga a prendere la decisione più importante della sua vita.

E’ un film indubbiamente drammatico, che all’inizio lega i personaggi soltanto perché accomunati dalla tossicodipendenza. In realtà il messaggio è chiaro: cadere nella dipendenza dall’eroina è la diretta conseguenza del non scegliere, del non conformarsi alle regole sociali e alla legalità.

La tematica affrontata porta quindi ad una profonda riflessione ed introspezione. Più che l’eroina, la protagonista indiscussa ancora una volta è la società moderna, sempre più priva di ideali e di punti di riferimento.

Il dibattito finale avvenuto all’interno del padiglione Livorno, è stato quasi interamente condotto da un solo detenuto il quale ha ammesso di aver fatto uso in passato di sostanze stupefacenti, ma di essere riuscito a smettere e di aver capito quanto questo errore di gioventù gli sia costato caro.

Ora, il suo riscatto più grande è l’amore verso la famiglia e le soddisfazioni professionali che è riuscito a raggiungere suo figlio. Gli altri interventi hanno evidenziato l’incompatibilità carceraria dei detenuti tossicodipendenti.

Ancora una volta i benefici del cinema e della film-terapia hanno preso il sopravvento, sebbene la tematica affrontata fosse delicata, per certi versi complessa poiché comune a molti dei partecipanti.

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