Cultura

“IDROSCALO 93” chiude la stagione teatrale 2017/2018 del Teatro Civico 14 di Caserta

Sabato 05 (ore 21:00) e domenica 06 (ore 19:00) maggioIDROSCALO 93 chiude la stagione teatrale 2017/2018 del Teatro Civico 14 di Caserta. Lo spettacolo, scritto da Mario Gelardi, racconta le oscure vicende giudiziarie seguite alla tragica morte del grande poeta italiano che, dopo quasi 42 anni, non sono ancora giunte a fare chiarezza su quello che è un vero e proprio mistero italiano. La regia dello spettacolo è affidata a Ivan Castiglione, che è anche interprete insieme a Riccardo Ciccarelli.

IDROSCALO 93 è il frutto della collaborazione tra Mario Gelardi e Carla Benedetti, docente dell’Università di Pisa, i quali hanno avuto la possibilità di lavorare sui materiali di tutta l’inchiesta sulla morte di Enrico Mattei, condotta dal giudice di Pavia, Vincenzo Calia. Nel 2002 il giudice Vincenzo Calia, che conduceva da anni l’inchiesta sulla morte del presidente dell’Eni, Enrico Mattei, allegò agli atti della sua lunga istruttoria alcune pagine di Petrolio, il libro di Pasolini pubblicato postumo. Che rapporto c’è tra il delitto Mattei e quello di Pier Paolo Pasolini? Che cosa sapeva Pasolini sulla morte di Mattei? Che cosa rivelano gli appunti di Petrolio che il giudice Calia allega agli atti processuali dell’inchiesta sulla scomparsa del presidente dell’ENI? Si percorre un filo rosso, quello dei delitti-incidenti che hanno caratterizzato troppe volte la storia del nostro paese. In scena un narratore, vero esploratore nel mondo di Pasolini: il suo pensiero e la sua ricerca si incarnano in un’altra figura, quella di Giuseppe Pelosi, un ragazzo che appare, in un primo momento, timido ed impaurito, per diventare, in seguito, spavaldo e sicuro di sé. Il nostro narratore mette ordine nella “pratica Pasolini” che, una volta chiusa, viene riaperta dopo trent’anni da un giudice di Pavia, che riporta alcune sconcertanti ipotesi. Una storia possibile, circostanziata, che lega due personalità che hanno contraddistinto il secondo dopoguerra italiano: Enrico Mattei e Pier Paolo Pasolini. La storia di un dopoguerra che sembra non finire mai.

Nota dell’autore – Mario Gelardi
In scena un uomo, vero esploratore nel mondo di Pasolini: il suo pensiero e la sua ricerca si incarnano in un’altra figura, quella di Giuseppe Pelosi, un ragazzo che appare, in un primo momento, timido ed impaurito, per diventare, in seguito, spavaldo e sicuro di sé. Il nostro narratore mette ordine nella “pratica Pasolini” che, una volta chiusa, viene riaperta dopo trent’anni da un giudice di Pavia, che riporta alcune sconcertanti ipotesi. Una storia possibile, circostanziata, che lega due personalità che hanno contraddistinto il secondo dopoguerra italiano: Enrico Mattei e Pier Paolo Pasolini. La storia di un dopoguerra che sembra non finire mai.

Una storia che inizia da lontano, la nostra. Comincia ad Ostia, il due novembre 1975, quando in uno squallido campetto, adiacente ad una baraccopoli, viene trovato il cadavere martoriato di Pier Paolo Pasolini.

Del suo assassinio viene accusato un diciassettenne borgataro, Giuseppe Pelosi. Un delitto tra “froci”, lasciano intendere gli inquirenti. Pasolini è stato ucciso da un giovane sbandato che lo scrittore aveva “rimorchiato” e con il quale si era appartato in cerca di sesso. Tutto chiaro, allora. Pasolini è rimasto vittima dei suoi vizi e delle sue “immorali” manie.

Ma è davvero tutto così lineare? Nei mesi immediatamente successivi alla sua morte, una campagna stampa cerca di dimostrare che Pasolini è stato ucciso non solo dal minorenne Pelosi, ma anche da altre persone che erano con lui quella notte, altri borgatari, forse legati al mondo della malavita, forse a gruppi neo-fascisti. Una banda pronta a punire “il frocio” Pasolini.
Pier Paolo Pasolini non piaceva a nessuno e, soprattutto, non piaceva quello che negli ultimi tempi scriveva. Non piaceva alla sinistra, perché battagliava contro il 1968, contro le femministe, l’aborto e la disobbedienza. Non piaceva alla destra, perché le sue dichiarazioni si accompagnavano ad un’argomentazione per loro sconcertante. La sua morte è stata, per molti, una vera liberazione!

Note di regia – Ivan Castiglione
Dal fondo del palcoscenico un uomo entra canticchiando il brano “Che cosa sono le nuvole”. Trasporta in spalla un altro uomo come se fosse un pupazzo, una marionetta dall’aspetto consumato e devastato. Lo adagia per terra, accende un proiettore sul suo viso ed il suono di un’infinita quantità di lacrime piomba al centro del palcoscenico. Questo pupazzo squallido e disgustoso è Giuseppe Pelosi, quello che oggi è diventato, secondo il mio punto di vista, l’assassino di Pier Paolo Pasolini.

La messa in scena dello spettacolo segue due diverse linee che si fondono tra di loro: quella dell’asciuttezza e chiarezza del teatro di narrazione e quella fantasiosa e grottesca della spettacolarizzazione. Ho voluto raccontare, in maniera chiara e diretta, le importanti vicende che ruotano attorno alla morte del poeta e alcune sorprendenti novità giudiziarie, senza mezzi termini.

Contemporaneamente, ho voluto rappresentare il mondo artistico di Pasolini attraverso frammenti delle sue opere, della sua poesia, dei suoi film. Ho voluto raccontare la sua sensibilità come intellettuale, come artista, come uomo, tramite la musica, il gioco, la fantasia e tutto quello che il “teatro” mi suggeriva. Ecco che accanto al raggelante racconto delle ambigue sentenze giudiziarie, che archiviavano la “pratica Pasolini”, c’è un attore che interpreta Giuseppe Pelosi e, ancora, un attore che canta, il brano “Che cosa sono le nuvole”, performance di danza e situazioni comiche.

Un continuo alternarsi in un ritmo serrato, per ripercorrere tutta le assurdità di quella dannata notte del 2 novembre del 1975, per interrogarsi e, forse, darsi delle risposte, sulla nuova possibile interpretazione della morte di uno dei più grandi poeti del secolo scorso.

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