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IL DOTTOR CALIGARI: GOMORRA COME ATTRAZIONE PER TURISTI

Il dottor Caligari ritiene infondata l’affermazione secondo cui la fiction sia una rappresentazione parziale della realtà, talmente riduttiva da dare della città un’immagine esclusivamente in nero. Peraltro trova risibile solo il pensiero che a sua volta l’opera finisca per contaminare alcuni segmenti della società (altrimenti sani) sdoganando comportamenti, linguaggi e persino ideali privi di moralità. Fino a rendersi correa del processo di pleibizzazione conclamata.
Piuttosto il dottor Caligari si definisce fiero assertore d’una convinzione contraria, per la quale invece l’espressione artistica è specchio dei tempi e parziale anticipatrice solo di segnali di decodifica del momento presente. “Un’opera d’arte è un’opera d’arte” ribadisce.
Non solo. Per il dottor Caligari il degrado dei rapporti umani, la ricerca della violenza come clava fondamentale del vivere quotidiano, la prevalenza d’un linguaggio poco più che da selvaggi, l’elevazione del kitsch dal mero gusto estetico a più ampio canone comportamentale vengono prima dell’opera d’arte in una comunità. Per questo il dottor Caligari trova incomprensibili i rilievi – spesso improntati, dice, a perbenismo e puritanesimo spiccioli – di certa piccola e media borghesia che, dal canto suo, poi non disdegna di condividere quegli stessi ideali di vita fondati sulla prevaricazione totale che a parole invece si stigmatizza.

Ecco perché il dottor Caligari chiede una moratoria del dibattito sulla fiction del momento e fa una proposta, citando l’esempio che viene da OltreOceano.

Tombstone, Arizona. Un tempo quel paese arrivò ad avere un’infinità di saloon e di sale da gioco. Era il posto giusto per i cercatori di preziosi e di fortuna.

Nessuno lo sapeva prima che venisse Schieffelin. Quando lo videro avventurarsi in questo deserto i soldati di Fort Huachuca presero a sfotterlo.

Gli diedero del pazzo e gli dissero – immagina ora il dottor Caligari – con risate grasse: qua l’unica pietra che troverai sarà quella della tua tomba.

Di qui il nome di quel posto. Tombstone.

Poi il tenace Edward trovò l’argento e nessuno più rise di lui. Nel giro di pochi anni Tombstone divenne la boomtown più conosciuta dell’Ovest e la città più popolosa dell’Arizona: case, chiese, bische, saloon, bordelli.

C’era di tutto lì: giocatori d’azzardo, minatori e fuorilegge d’ogni genere, che da Tombstone partivano per andare ad assaltare i treni carichi d’argento sui binari della ferrovia, e donne generose con cui valeva la pena passare una notte dopo avere tanto lavorato. Poi le acque del fiume cominciarono ad invadere i cunicoli, le miniere chiusero, rimase solo qualcosa per chi sapeva che farsene del manganese. E fu la depressione. Anche quella boomtown, come tutte le altre, si trasformò in una città fantasma. Tombstone sopravvisse, ma si ridusse ad un villaggio, buono per l’industria del cinema che cominciava a girare western.

Oh, mio buon John Wayne, dove sei?” si chiede il dottor Caligari e conclude: “Adesso, eccola lì, la cittadella ricostruita apposta per i turisti. Caro il mio Edoardo, se può, ci vada. Ogni giorno alle due e mezza del pomeriggio, le fanno rivivere in presa diretta la sparatoria più famosa dell’Ovest, quella all’ok Corral. Li vedrà, i tre sciamannati vengono avanti… quattro dollari e lei si porta a casa una bella foto dei 3 crivellati di colpi e distesi nelle bare, un’immagine rigorosamente in bianco e nero, come se fosse stata scattata ieri, che dico?, proprio ora davanti a lei”.

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