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«IL SUD RISORGE SOLO SE UNITO, NEL GOVERNO UN PROBLEMA CULTURALE»: IL MERIDIONALISMO DI ANTONIO BASSOLINO

“Il Sud tra decadenza e rinascita”, questo il tema al centro del dibattito promosso ed organizzato dalla Fondazione Sudd e tenutosi a Casina del Principe. Un confronto ampio e ricco di spunti di riflessione al quale hanno preso parte il sindaco di Avellino, Paolo Foti, il professore Luigi Anzalone, il Presidente del Consiglio Regionale della Campania, Rosetta D’Amelio, l’imprenditore Silvio Sarno e l’ex Governatore della Regione Campania, nonché Presidente della Fondazione Sudd, Antonio Bassolino.

Nel ruolo di moderatore, Samuele Ciambriello. A lui, ovviamente, l’onere di definire la cornice del dibattito con una intensa introduzione. Ciambriello ha rimarcato la drammaticità della condizione meridionale, drammaticità cristallizzata nei numeri dell’ultimo rapporto Svimez, per poi richiamare l’attenzione di tutti sulla distanza siderale che separa gli annunci di questo esecutivo sul Meridione dai fatti concreti.

Quindi, la parola è passata al padrone di casa, ovvero al sindaco di Avellino. Foti ha in primo luogo ricordato il legame tra Antonio Bassolino e la città capoluogo, sottolineando il ruolo giocato dall’allora Presidente della Regione sul terreno della pianificazione strategica ai tempi del compianto Tonino Di Nunno, per poi entrare nel merito della discussione: «La questione meridionale è ancora irrisolta e mi ferisce che non sia nell’agenda dell’attuale governo nazionale, anche se, in realtà, il Mezzogiorno è sparito dall’agenda di tutti i governi susseguitisi nel corso degli ultimi decenni». Ma per Foti la colpa dei ritardi accumulati «sono in primo luogo delle classi dirigenti del Meridione, non solo alla politica ma a tutte le componenti del mondo produttivo e della società civile. Dunque, è in primo luogo da qui, dalla nostra capacità di esprimere classi dirigenti adeguate e consapevoli che possiamo costruire la rinascita di questa parte d’Italia, il governo può e deve fare di più ma l’onere vero della sfida resta sulle nostre spalle»

Dopo Foti, è stato il turno del Presidente D’Amelio che, in qualche misura, ha preso il là proprio dalle riflessioni del sindaco di Avellino: «La questione Meridionale deve tornare ad essere questione nazionale ed in tal senso occorre uno sforzo da parte del Partito democratico a tutti i suoi livelli. La Direzione Nazionale del Pd non ha discusso di Mezzogiorno, nonostante sia stata convocata dopo l’uscita dei dati Svimez che ci raccontano di un Sud messo peggio della Grecia e di un Paese, l’Italia, sempre più a due velocità. Se ripresa c’è, riguarda solo il centro nord. Ed un partito come il Pd ha il dovere di non chiudere gli occhi dinanzi a queste drammatiche evidenze, mettendo in cima all’agenda di questo esecutivo a trazione democratica l’esigenza di definire un percorso di programmazione per il Meridione, un percorso che parli all’Italia nella sua interezza. Foti ha ragione, il Mezzogiorno è scomparso dalla vita politica da più di 20 anni. La Cassa per il Mezzogiorno è stato l’unico intervento, contestato quanto si vuole, funzionale a risolvere i problemi del Meridione. Cosa vogliamo fare delle risorse europee per il Sud? Questi sono problemi che il governo centrale deve affrontare. In Campania ci sono circa 2700 aziende in crisi, ai dati drammatici sulla disoccupazione giovanile si aggiungono le condizioni disperate di tantissimi lavoratori over 50. Il contratto di programma, che dovrebbe favorire l’occupazione, si è fermato nel 2009 per volere della Giunta Caldoro. Bassolino propose un coordinamento tra le Regioni ma tutto si bloccò perché non c’era un punto di riferimento nazionale in grado di inserire il Meridione nell’agenda politica. All’epoca c’era il Governo Berlusconi, ma oggi quasi tutti i comuni sono governati dal Pd e, soprattutto, governiamo tutte le Regioni del Sud e governiamo il Paese: abbiamo un triennio davanti a noi e non possiamo fallire, se non saremo in grado di dare risposte serie e di prospettiva al Mezzogiorno non ci saranno alibi, la responsabilità sarà solo nostra. Ci sono risorse europee da utilizzare per migliorare le nostre zone e bisogna seguirle per non farle dirottare al nord. La partita si gioca sulle infrastrutture, sull’alta velocità, ma anche sulle aziende produttrici di eccellenze, sull’innovazione in comparti strategici come l’agricoltura, sull’inter – portualità. Abbiamo bisogno di sviluppo e coesione sociale, dobbiamo guardare con attenzione alle politiche di integrazione. E sì, tutto dipende dalla capacità delle classi dirigenti, ovvero da noi»

DI diverso tenore, invece, l’intervento del professore Anzalone. L’ex assessore di Bassolino è partito, stranamente, proprio dai numeri: «In Germania la disoccupazione giovanile è al 7,9% in Campania al 51,5% contro il 23,8% a livello nazionale. Il 40% dei meridionali è povero e la forbice tra povertà e povertà assoluta s’è stretta drammaticamente. Le due condizioni essenziali per restituire futuro al Sud sono le stesse da sempre: portare nel Meridione d’Italia lo Stato di Diritto è la priorità delle priorità. Siamo ancora al medioevo, i diritti sono ancora favori, siamo ancora vittime di un sistema di potere corrotto, corruttore ed inconcludente. Avremmo bisogno di tornare allo spirito degli anni ’50, quando l’Italia usciva a fatica dalle macerie della guerra ed un grande statista, Alcide De Gasperi, creò la Cassa per il Mezzogiorno. Che a lungo garantì, grazie ad uno sforzo di coesione sociale senza precedenti, straordinari risultati sul terreno del progresso civile ed economico. Quel percorso durò fino a Moro, poi arrivò la lunga notte dell’Andreottismo che condusse all’”antistato criminale”, connubio tra affarismo e poteri criminali o deviati, con l’aggiunta di pezzi consistenti della classe politica egemone del tempo, la Dc e il pentapartito. Quindi arrivò Tangentopoli e da allora ad oggi non si è andati oltre l’immobilismo. I nostri parlamentari non sono pensatori né con la mente né con il cuore e questo è drammatico. Abbiamo bisogno di una grande riflessione, abbiamo bisogno di una visione complessiva ed unitaria del Paese nella quale il Mezzogiorno dovrà necessariamente assumere un ruolo centrale e strategico. Ma non so fino a che punto questo compito possa essere affidato a Renzi, la cui unica preoccupazione pare essere quella di rottamare i comunisti, ovvero di riuscire laddove fallì Tangentopoli»

Di qui, l’intervento di Silvio Sarno che, in qualche misura, ha provato a capovolgere il paradigma: «Nel 2004 Confindustria provò ad aprire un confronto nel Paese, anche da questa provincia, sulle ragioni che avevano determinato, già allora, il blocco dell’ascensore sociale in questo Paese. Ed è del tutto evidente che molto è dipeso anche dall’atteggiamento di tanti imprenditori che nel corso degli ottanta e novanta hanno lucrato su tutte le opportunità di sviluppo offerte al Meridione, depauperando fondi e lasciando scatole vuote sui territori. Il vero punto è questo: per decenni ci siamo accontentati di un benessere fasullo e posticcio perdendo di vista lo sviluppo. L’economia meridionale è stata drogata troppo a lungo e quando il gioco è finito ci siamo ritrovati poveri, come lo siamo oggi. Serve uno scatto, non possiamo accettare questo stato di cose. Io dico che in questa fase sarebbe necessario introdurre politiche di destra in una cornice progressista. Pensiamo alla “Banca del mezzogiorno” evocata da Tremonti, sarebbe dovuta servire a finanziare fondi di investimento per industrie vere con progetti reali di crescita e sviluppo, o a garantire investimenti di carattere infrastrutturale. Quell’intuizione resta valida, basti riflettere sul fatto che l’ultima grande opera realizzata in questa provincia è l’A16, il resto sono favole. Noi dobbiamo capire che nelle attuali condizioni nulla è certo, quanto tempo ancora l’Ema potrà rimanere lì dov’è senza interventi volti a garantire un contesto infrastrutturale migliore? E la Denso? Le istituzioni devono fare attenzione ed è vero, la rappresentanza parlamentare del Sud non pare essere in gradi di affrontare questa sfida. E anche nel Pd non mancano certo i problemi. Anche le minoranze mancano di proposte e di soluzioni. Dal mio punto di vista il Mezzogiorno deve essere concepito come la piattaforma del manifatturiero italiano a tutto tondo ed occorre un grande patto tra generazioni che vada al di là delle ideologie e che si misuri sui fatti. Ed ogni riferimento a Renzi non è casuale, sotto l’abito del renzismo non c’è nulla. Quel che alla fine resta è solo un leader che grida ma che ad oggi ha tradito la parola data al Sud»

Infine, le conclusioni di Antonio Bassolino. L’ex Presidente della Regione ha in prima battuta ricordato il legame profondo che ha con l’Irpinia, dove ha trascorso «gli anni più belli» della sua giovinezza, dove si è formato politicamente nelle vesti di segretario provinciale del Pci, dove torna sempre con gioia. Quindi, è andato al sodo della questione: «Tra tutti i dati snocciolati dallo Svimez quello che mi ha colpito di più non è un dato economico, ma è il dato che meglio fotografa le condizioni in cui siamo e le prospettive future con le quali ci doabbiamo misurare. Mi riferisco allo tsunami demografico che travolge il Mezzogiorno, intere generazioni di giovani, molto spesso formati, vanno via, a Londra come i miei figli. Vanno via perché in questo Paese si sentono prigionieri di una struttura di potere invasiva che si regge sul familismo politico. Questo è vero dramma meridionale, abbiamo bisogno di integrazione ma soprattutto di far tornare i nostri ragazzi. Andare all’estero è positivo solo se si tratta di una scelta libera e reversibile, sino ad allora non avremo futuro».

Venendo al Pd, Bassolino, che di Renzi resta un estimatore ed un sostenitore, non ha utilizzato toni dolci: «La Direzione nazionale dello scorso 7 agosto, quella nella quale si è discusso di Sud, è stato solo un contentino. Non è così che si possono affrontare seriamente le emergenze di questo nostro Sud, la questione meridionale va connotata culturalmente, ovvero va contestualizzata in ragione dei cambiament che la storia di questi decenni ci ha consegnato. Per tanto tempo, nel solco di Gramsci e Dorso, abbiamo ragionato su di uno schema lineare che ha prodotto grandi risultati: la questione Meridionale come grande questione nazionale, dunque gli interventi straordinari come la Cassa per il Mezzogiorno che il Pci di allora contestò sbagliando. Quello fu un tentativo nobile, grazie al quale furono bonificate le campagne, costruite città, un sistema di istruzione diffuso ed accessibile. Poi arrivò la deriva, e alla vigilia di Tangentopoli quel sistema di intervento era ormai diventato il fattore cruciale di un sistema di corruzione politica che infestò il Mezzogiorno. Ma quello schema è venuto meno in ragione di due epocali trasformazioni intervenute tra la fine degli anni ottanta e l’inizio degli anni novanta, da un lato il crollo del muro di Berlino, che catapultò di nuovo la Germania, dopo quasi mezzo secolo, in una condizione di centralità. Fino a quel momento la Germania aveva vissuto con il peso delle colpe che la storia le conegnava, dopo cambiò tutto e cominciammo a porci il problema di una Germania europea o di una Europa tedesca. Sappiamo come sono andate le cose sino ad oggi. Quindi la globalizzazione, il mondo che all’improvviso diviene piccolo ed in continuo movimento. In tale contesto va inserito il declino del Mezzogiorno, che oggi soffre livelli di servizi primari indegni di uno Stato di diritto e che si salverà solo se saremo capaci di fare massa critica, di mettere in rete risorse e forze. Serve l’unità meridionale, dobbiamo ripartire dalla nostra autonomia, dalla consapevolezza di quel che siamo e quel che vogliamo essere. Solo così potremo farci ascoltare, i Presidenti delle Regioni, i sindaci e i nostri rappresentanti devono unirsi e sbattere i pugni sul tavolo non rivendicando ma proponendo»

Quindi, la stoccata al sindaco di Napoli, Luigi De Magistris: «Sorrido quando di voler derenzizzare Napoli, questa è una battuta degna di un ragazzino dei centri sociali non certo di un sindaco di una grande città. Il cui compito è quello di dialogare con il Presidente del Consiglio, anche se gli sta antipatico. Io, figurarsi, dialogavo con Berlusconi. Quel che si chiede ad un sindaco è di fare gli interessi della propria città. Se a Napoli accade quel che sta accadendo, se ragazzi giovanissimi muoiono uccisi il problema non si risolve evocando più repressione ma si risolve con i servizi, con le scuole, con la cultura, con più socialità»

Infine, il passaggio conclusivo sul governo: «Il limite più grande di questo esecutivo è culturale, perché nell’Italia di mezzo, l’Italia della Toscana e dell’Emilia, il Sud stenta ad essere compreso e riconosciuto. Ecco perché insisto sul fatto che va rivista la composizione del governo, oggi il Meridione non è rappresentato è questo è un grande problema. Certo, abbiamo avuto governi pieni di meridionali che hanno procurato solo danni al Sud, ma occorre un riequilibrio proprio sul terreno culturale. Questo esecutivo non parla al Sud e non comprende il Sud. Se accade qualcosa, un’emergenza in Sicilia o a Napoli, chi, oltre il Presidente del Consiglio, potrebbe venire e farsi ascoltare? Chi potrebbe parlare la nostra lingua? Io stento a trovare un nome e questo è grave, un vulnus che va superato»

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