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Incidente tra Metro a Napoli, il macchinista si difende: è indagato per lesioni e disastro colposo

A nove giorni dall’incidente sul binario di Piscinola della linea 1 della metropolitana, il macchinista Gianluca Calaca, alla guida del treno che ha tamponato un altro convoglio, parla con Il Mattino e racconta attimo per attimo quei momenti drammatici dell’impatto tra ben tre treni.

Allora cosa è accaduto il 14 gennaio poco prima delle 7 sulla linea 1?
«Sono partito alle 6,20 da Garibaldi in direzione Piscinola. Ho percorso l’intera tratta fino alla stazione di Chiaiano. Qui, in partenza da Chiaiano in direzione Piscinola, il semaforo mi dava il via libera, a 100 metri dalla stazione mi sono accorto di un treno partito dalla rampa opposta fermo sul mio binario. Quel treno doveva essere 500 metri più indietro. A quel punto ho iniziato la frenata con tutti i sistemi di sicurezza inseriti».

Vale a dire?
«Avevo il dispositivo Atp inserito a protezione del superamento di segnali e delle curve in velocità. Per dirla non in maniera tecnica, il treno in maniera automatica non supera i limiti imposti dal regolamento d’esercizio».

Allora l’impatto non doveva esserci, mica lei stava parlando al telefonino? È una ipotesi che circola.
«Guardi, chiariamo subito un po’ di cose: non ero al cellulare e sono stato io a chiedere che venisse controllato il mio telefono. Quando lo apriranno vedrete che vi sto dicendo la verità. In secondo luogo, ero lucidissimo come sempre e come è già emerso dai controlli medici a cui sono stato sottoposto. Infine, non ero distratto, ma stavo per fortuna ben concentrato come da 11 anni a questa parte. Mi lasci dire pure un’altra cosa: che nesso c’è fra l’essere amministratore di condominio e quello che è accaduto? Sembra capzioso».

Torniamo all’impatto, certo qualcosa non ha funzionato.
«Durante la frenata ho azionato anche il freno di soccorso, ma il treno ha iniziato a scivolare sui binari».

Sembra incredibile. E i sistemi di sicurezza?
«Ci arriviamo, prima preciso che sui binari ho notato la brina del mattino, ricordiamoci che eravamo in un tratto non in galleria, ma all’aperto. Poi ho appreso dai giornali il giorno dopo l’incidente che l’Anm ha dichiarato che la sera su quei binari era uscito un treno Badoni a gasolio, e che sui binari stessi ci potevano essere residui del carburante, vale a dire olio. Il combinato disposto delle due cose può provocare lo scivolamento».

Basta così poco per far perdere aderenze a treni così imponenti?
«Sono treni vecchi di 40 anni. Quello che stavo guidando io era stato parzialmente ammodernato».

Ovvero?
«I treni hanno due motrici, la parte del treno che stavo guidando io quel giorno non è stata ammodernata».

E perché l’Anm lo ha fatto uscire?
«Quando i macchinisti trovano i treni in deposito significa che è tutto ok. Se il treno viene messo in esercizio allora è idoneo. I macchinisti fanno i cosiddetti controlli accessori per verificare, per esempio, se le porte si aprono e altro, e hanno 50 minuti di tempo. L’idoneità del treno va verificata solo in corsa piena altrimenti non si può fare. Detto questo, alla fine sono i tecnici del ministero che danno il via libera per l’idoneità».

Non ha ancora raccontato l’attimo dell’impatto e poi cosa vuole dire quando dice che con un clic della torre di controllo non ci sarebbe stato nessun incidente.
«Con me in cabina c’erano due capotreni, vorrei sottolineare questo aspetto. Quando ho capito che l’impatto era inevitabile ho detto loro di mettersi in sicurezza, io sono rimasto ai comandi rischiando la vita. Quello che non torna è che con i sistemi di sicurezza inseriti quello che vede e sente e fa il macchinista dovrebbero vederlo e sentirlo anche alla torre di controllo, inclusi gli allarmi sonori, e quindi intervenire».

Perché, il treno fischia?
«Certo, lo stesso suono si sente nella torre da dove si può intervenire. Con il sistema di sicurezza Atp il macchinista non può fare nulla nel senso che la velocità non è più un fattore che si può controllare, il treno in buona sostanza va lentissimo, non si può accelerare».

E invece?
«Invece, dopo l’impatto, io sono uscito dal treno e allora sì con il mio telefonino mi sono messo in contatto con il responsabile d’esercizio, e ho cercato di togliere la corrente, ma il maniglione che c’è sui binari non ha funzionato. Si fosse rotto un cavo dell’alta tensione 700 persone e tutte quelle che erano sulla linea sarebbero morte fulminate. Ma mentre facevo questo è partito un altro treno come se nulla fosse accaduto e c’è stato il secondo impatto».

E cosa ha provocato questo secondo scontro?
«Il miracolo c’è stato perché questo treno è stato fermato da binari non in uso che stavano per terra altrimenti non stavo qui a parlare con lei, avrebbe spinto il mio treno con 700 passeggeri giù nel burrone».

Beh di cose ne avrà da raccontare in Tribunale…
«Questo lo farò assieme al mio avvocato. Non parlo della vicenda giudiziaria. Piuttosto umanamente ho tanta amarezza dentro. Sono stato lasciato solo dall’azienda, ancora oggi non ho sentito nessuno. In ospedale mi hanno espresso solidarietà i miei colleghi e i sindacati, per il resto nulla più. Amo il mio lavoro, era il mio sogno e non voglio perderlo. Ho fatto – lo ripeto – tutto quello che dovevo fare e anche di più».

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