Approfondimenti

Inesattezze, bugie ed imprecisioni sulla storia di Napoli

Tra le attrazioni di Napoli, destano sicuramente grande interesse le Macchine anatomiche, conservate all’interno della Cappella detta ‘La Pietatella’.
Esse rappresentano due corpi umani, femminile e maschile, con lo scheletro e tutta la fitta rete del sistema arterioso e venoso, fino ai capillari.

I dettagli sono estremamente accurati e precisi, tanto da aver dato spazio tra i popolani, ma anche  tra gli eruditi, che il principe alchimista fosse riuscito a creare una sorta di liquido metallizzante, in grado di rendere solido il sangue. Iniettandolo su due malcapitati, una cameriera ed un servo della sua reggia, dopo la decomposizione accelerata dei corpi ottenne le due prodigiose ‘Macchine’.
Tale versione ci viene raccontata anche da Benedetto Croce: «Per lieve fallo, fece uccidere due suoi servi, un uomo e una donna, e imbalsamarne stranamente i corpi in modo che mostrassero nel loro interno tutti i visceri, le arterie e le vene, e li serbò in un armadio…».
Una vicenda macabra, perfettamente aderente alla mitologia destinata all’illustre scienziato che, dopo averle create, le fece portare nell’appartamento detto ‘della fenice’ (come indicato nelle note di una guida del ‘700 e come riferito da alcuni viaggiatori), per poi essere trasportate successivamente nella cappella.
Guardandole con attenzione, si rimane stupiti dalla perfezione e accuratezza degli intrecci, come se davvero fosse il risultato di un orrendo sacrificio.

A completare il sinistro allestimento, fino al secolo scorso era presente il corpo di un feto, poi trafugato, che sembrava aver subito lo stesso procedimento alchemico.
Si racconta che la realizzazione delle stesse fu attuata anche con l’aiuto dell’anatomista palermitano Giuseppe Salerno, nella seconda metà del ‘700.

E qui l’arcano e l’insolito cominciano a sfilacciarsi, dato che un contratto depositato presso l’Archivio Notarile di Napoli sottolineerebbe un accordo tra il principe e il medico, col primo che si sarebbe impegnato unicamente a fornire filo di ferro e cera per realizzare le opere.
Nel 2008 alcuni ricercatori dell’University College London (UCL) hanno eseguito alcune analisi sulle ‘Macchine’, dichiarando che gli scheletri sono genuini mentre i sistemi circolatori sono realizzati artificialmente appunto con filo metallico e cera colorata.
Anche un’analisi del 2014 effettuata da medici dell’ospedale San Gennaro ha riportato i medesimi risultati. Infatti, un gruppo di cardiologi, capitanato dal prof. Galzerano, peraltro sulla base di una semplice ricognizione visiva, ha rilevato un errore nella ricostruzione dell’apparato circolatorio, un difetto piccolo ma decisivo: nessun uomo avrebbe potuto vivere con quella «malformazione».
Oggi sappiamo con certezza che il principe  li avrebbe solo comprati, grazie ad un libro di Sergio Attanasio, che fa luce anche sulle due macchine anatomiche.
L’autore, tra l’altro, ricorda come furono descritte nella «Breve Nota» del 1766: «… si veggono due macchine anatomiche, o, per meglio dire, due scheletri, d’un maschio, e d’una femmina, ne’ quali si osservano tutte le vene e tutte le arterie de’ Corpi umani, fatte per injezione, che; per essere tutti intieri, e, per diligenza, con cui sono stati lavorati, si possono dire singolari in Europa…». E proprio l’indicazione dell’anonimo estensore settecentesco – «fatte per injezione» – fece accendere la fantasia dei cultori del paranormale, che per tre secoli hanno immaginato che una qualche particolare sostanza (ovviamente alchemica ed inventata dal Principe) fosse stata iniettata nei corpi dei due sventurati. In realtà è possibile che qualcosa sia stata iniettata ma solo per evidenziare vene ed arterie in modo da poterle ricostruire fedelmente. Di certo, pur essendo nota la partecipazione di un medico siciliano alla creazione delle «statue», la leggenda ha sempre messo in primo piano l’opera del Sansevero. Ora però, grazie alle ricerche di Sergio Attanasio, la leggenda nera viene definitivamente spazzata via.

Tutto ha inizio in Sicilia, scrive Russo De Gregorio nel 1762: «Il 5 maggio del 1756… Giuseppe Salerno palermitano mostrò uno scheletro elaboratissimo da ogni parte. Questo, costruito con impegno e con arte di opere meccaniche mostrava  l’osteografia dell’uomo e insieme l’angiologia, per un numero complessivo di 261 ossa». Attanasio, inoltre, ricorda che la Real Accademia Medica Palermitana «non era comunque nuova a sperimentazioni in questo campo, difatti, nel 1753 un altro anatomista, Paolo Graffeo, aveva costruito “un uomo e una donna con il feto (…) che erano conservati e posti in bella mostra nei locali dell’Università in teche decorate da pietre preziose». Dunque, nella Palermo di metà ‘700 si realizzavano delle perfette riproduzioni del corpo umano. E quando la notizia giungerà al re Carlo, il sovrano chiederà di organizzare «una lezione ad un pubblico consesso di nobili e letterati» a Napoli. E, spiega ancora lo studioso napoletano, al convegno fu invitato anche Sansevero (che era amico personale del re), il quale «dopo aver visto la meravigliosa macchina del Salerno non si fece sfuggire la ghiotta occasione di conoscere questa opera meccanica e il suo creatore». Non solo. Quando seppe che voleva portare a Bologna la macchina, «ne propose subito l’acquisto per esporlo nella galleria del suo palazzo, appena passato il giorno dello spettacolo, il principe di San Severo mecenate dei letterati, stabilì di conservare questo mirabile scheletro nella sua ammirevole pinacoteca ed attribuì all’autore dell’opera una pensione splendida, vita natural durante».
Va ricordato che dopo l’acquisto, i due scheletri non furono collocati nella chiesa (dove si vedono oggi), ma nell’appartamento del PrincipeDove, nel 1775, li vedrà il marchese De Sade: «… Questi appartamenti – scrisse – sono in verità ornati da affreschi di Beltisar (Belisario Corenzio) pieni di freschezza e di piacevolezza: ma è tutto. In una di queste sale si vedono due scheletri piuttosto curiosi».
Un modello dunque di straordinaria precisione per lo studio dell’anatomia, ma anche lo «spettacolo» del corpo umano come non si era mai visto prima. Inevitabile che il Principe ne rimanesse conquistato e decidesse di acquistare prima l’uomo e poi la donna con il feto (che poi andrà perduto). Leggiamo da una lettera del 1762: «L’autore di queste statue fu Giuseppe Salerno nato in Palermo nel 1728 (…) Conoscendo però la tendenza, che il principe… mostrava verso simili cose, glielo portò in Napoli, e n’ebbe la pensione annua di onze cinquanta; sebbene fu rimproverato per non averlo lasciato alla sua patria…». Ironia della sorte, infatti, al Salerno «non fu riconosciuta giusta fama degna della sua opera». Non solo. L’anatomista palermitano – che morirà proprio per le conseguenze di una depressione – sarebbe stato oscurato dalle preponderante fama del Sansevero. In attesa che si restituisca allo studioso siciliano quel che merita, c’è da accogliere con soddisfazione la ricerca del professor Attanasio, un lavoro che apre nuovi spiragli di luce su uno dei tanti misteri napoletani, senza intaccare né il mito né il fascino esoterico del Sansevero.

Napoli si conquista attraverso san Gennaro. Anche attraverso san Gennaro. Attraverso il mito, attraverso l’emozione, attraverso sentimenti forti e inspiegabili. Questa necessità seduttiva fa parte della mitologia (vagamente stereotipata) della città e forse anche della sua natura femminea, di sirena. Questione di canti più che di conti, di fascino più che di ragione. E il potere, nella sua immensa intelligenza, nella sua complessità ha sempre cercato il consenso nel miracolo l’ha cercato, l’ha voluto e a volte l’ha preteso come un imprimatur che risalisse dalle viscere della Fede.
Tutti in cerca del sostegno, dell’occhiolino, della pacca sulle spalle da parte del santo delle ampolle. L’hanno invocato i re di diverse dinastie, affinché la loro sovranità fosse sancita da un’incoronazione popolare e sovrannaturale nello stesso tempo. Unti del Signore, ma pure da san Gennaro. In un’occasione ben precisa, fuori dalle tre date canoniche e significative, lo scioglimento è stato imposto con la forza delle armi.      È il celebre episodio del 1799, quando il generale Championnet per dare la legittimazione più all’occupazione francese che alla Repubblica Napoletana, visto che il sangue ritardava a compiere il prodigio, minacciò i religiosi. Secondo il racconto molto romanzato di quel geniaccio di Alexandre Dumas, il liquido nella teca prontamente si squagliò. Al primo patrono fu immediatamente appiccicata, dai lazzari e dai sanfedisti, l’etichetta di giacobino. Ma a ben leggere, con il senno di poi, probabilmente fu un segnale per gli ingenui rivoluzionari. Da martire a martiri in pectore. Volete la consacrazione del sangue? E prendetevela, ma poi non venite a lamentarvi che finite sul patibolo e alla fine, al massimo, vi dedicano una piazza, sebbene salottiera, con una colonna e quattro leoni
Fino ad ora abbiamo riportato testualmente uno scritto di Pietro Treccagnoli, una delle penne più sofisticate de Il Mattino e soprattutto valente napoletanista, il quale accetta senza riserve la favola del generale francese che induce sotto la minaccia dei fucili San Gennaro ha manifestare il suo prodigio. La cosa grave è che a questa falsità crede anche Giuseppe Galasso, uno dei più celebri storici italiani, come ha di recente manifestato in pubblico nel teatro Bellini nel corso di un’affollata conferenza.
Dobbiamo essere grati a Maurizio Ponticello che, nel suo recente libro dedicato al patrono napoletano ha dedicato un corposo capitolo all’episodio, sottolineando che tra le carte ufficiali della Deputazione del Tesoro, dove puntigliosamente sono annotati tutti gli scioglimenti dal 1389 ad oggi, non vi è alcuna traccia del prodigioso evento  “a comando” citato viceversa su tutti i libri di storia.
Quando si parla di San Gennaro a Napoli e si mettono in luce falsità ed errori, bisogna stare attenti, perché il patrone gode della stima sviscerata non solo del popolo, ma anche di molti intellettuali.
Per scoprire uno degli errori più abusati: Napoli città dei sangui, basta aver frequentato con profitto le elementari, apprendendo che la parola sangue non possiede il plurale; per accertarsi che la decapitazione del santo(fig. 16), avvenuta secondo la leggenda il 19 settembre del 305, regnante l’imperatore Diocleziano, bisogna aver frequentato le scuole medie ed appreso durante le ore dedicate alla storia che a quella data l’imperatore era diverso; infine per intendere l’errore di liquefazione del grumo di sangue, bisogna aver frequentato le lezioni di fisica al liceo, acquisendo la nozione precisa di liquefazione, che consta nel passaggio di un corpo dallo stato gassoso allo stato liquido.
Vorrei concludere questa breve carrellata sul presunto prodigio, non parliamo mai di miracolo, perché la stessa Chiesa non lo riconosce come tale, proponendo al lettore una mia missiva sull’argomento, pubblicata nel 2015 su numerosi giornali, in primis il settimanale L’espresso, nella quale mettevo in risalto(e da allora il fenomeno si è ripetuto costantemente ad ogni scadenza canonica o fuori programma) che il sangue prelevato dalla cassaforte è già sciolto, cosa che probabilmente avviene durante l’anno decine di volte e basterebbe posizionare una micro telecamera a raggi infrarossi nella cassaforte per accorgersi del ripetersi a catena dell’evento. Per il prestigio di San Gennaro sarebbe un brutto colpo, ma finalmente la nostra città potrebbe entrare a testa alta nel mondo contemporaneo.

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