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La marcia di Napoli contro le camorre e l’ingiustizia sociale

La scritta “Un popolo in cammino contro le camorre e per la giustizia sociale” sabato 5 dicembre aprirà il corteo promosso da parrocchie, associazioni, studenti, movimenti, sindacati, cittadine e cittadini, per reagire alla tante vittime (quarantanove morti ammazzati negli ultimi sei mesi) delle guerre di camorra uccise anche in pieno giorno. La marcia avrà come destinazione la Prefettura e chiederà sicurezza e normalità di vita nei quartieri a rischio della città (#unpopoloincammino). Marcia, come è stato precisato, concordata e promossa anche dall’Arcivescovo di Napoli, Card. Crescenzio Sepe. Di fronte alla specificità di questa mobilitazione popolare, promossa da parrocci ed associazioni di quartieri a rischio (non solo delle periferie occidentali ed orientali, ma anche dei quartieri centrali) per opporsi a traffici e violenze delle organizzazioni criminali e alla percepita assenza o lontananza dello Stato, occorre riflettere sull’estensione e sul significato di questa mobilitazione.

Nel corso degli ultimi 18 mesi si sono registrate mobilitazioni e cortei popolari per la tragica morte di giovani vittime, in particolare quella imponente per i funerali del trentenne Ciro Esposito morto il 25 giugno 2014 dopo lunga agonia a Roma prima della finale di Coppa Italia, Napoli-Fiorentina; quella per Davide Bifolco, 17 anni, colpito il 5 settembre 2014 da un carabiniere durante un inseguimento; fino al giovane meccanico Luigi Galletta, ucciso il 13 luglio scorso al quartiere San Lorenzo nell’officina dove lavorava, o a Genny Cesarano, 17 anni, ucciso a colpi di pistola la notte del 5 settembre in piazza San Vincenzo alla Sanità di fronte alla chiesa.

Si tratta di reazioni per giovani vite stroncate e per la sicurezza di fronte alle violenze delle organizazioni criminali, con la percezione di un abbandono da parte delle istituzioni, per acquisire visibilità sociale negata da insignificanza sofferta anche attraverso la mitizzazione dei propri martiri ed eroi, come è avvenuto per il caso di Ciro Esposito a Scampia. Sono aggregazioni collettive per vite ferite, a carattere espressivo, non sempre presentano piattaforme di obiettivi concreti, non assumono il carattere di “azione collettiva” organizzata e perdurante nel tempo. Esprimono emozioni, aggregazione, mobilitazione, per le grida di madri e giovani da raccogliere in difesa e sicurezza della vita sul territorio.

Acquistano rilevanza e significato questi movimenti popolari in riferimento a contesti territoriali, non solo napoletani, caratterizzati da:
– assenza o distanza dello Stato e delle Amministrazioni locali – che si manifesta in scarsi investimenti sociali e culturali in aree periferiche e con gravi problemi, come ha rilevato per esempio la Presidente della terza Municipalità di Napoli che comprende il rione Sanità;
– dalla liquefazione dei partiti politici in grado di esercitare una funzione di trasmissione e mediazione dei bisogni e degli interessi degli strati popolari;
– da espressione della società civile con Associazioni e Comitati rispondenti a particolari bisogni sociali e culturali, e non sempre facenti rete ed in grado supplire alle carenze dell’azione pubblica;
– e da comunità cristiane non sempre preparate ad affrontare i problemi del territorio circostante.

E’ rilevante l’aggregazione e l’animazione di movimenti popolari da parte di sacerdoti di rioni a rischio. Alla Sanità, in seguito all’uccisione tra la piazza e l’altare del giovane Genny Cesarano, si è espressa fortemente la richiesta delle famiglie di protezione e sicurezza, con Messe in piazza, fiaccolate per legalità, panni violacei esposti per esprimere lutto ed aspettative di risposta da parte delle istituzioni, e la promozione del corteo del 5 dicembre con altri parrocci e comunità cristiane. Il tutto è in linea con l’attenzione dedicata da papa Francesco ai “movimenti popolari” non solo dell’America Latina per i sacri diritti alla “Terra, casa e lavoro” sotto il profilo della dignità umana e della gisutizia sociale, – che non sembra di casa da noi –, anche con la visita recente al quartiere povero di Kangemi a Nairobi con un discorso di grande sensibilità sociale.

I problemi di questi quartieri napoletani in movimento non riguardano solo la sicurezza, con l’impianto di più telecamere di sorveglianza e soldati, ma anche la lotta alle famiglie della criminalità organizzata che si riproduce per lucrosi affari nel traffico della droga, affiliando “paranze di bambini” e giovanissimi; l’investimento nella qualificazione della formazione e della scuola aperta anche al pomeriggio; la creazione e diffusione di opportunità lavorative per le giovani generazioni, di centri di aggregazione sociale, culturale e sportiva per la fruizione del tempo libero. E non in ultimo occorrono politiche sociali non puramente risarcitorie a sostegno delle famiglie e della crescita dell’autonomia. A seguito del corteo con al presentazione delle richieste alla Prefettura di Napoli, occorre una vigilanza organizzata per la loro attuazione, a partire dalla Municipalità e dalle Associazioni e Comitati interessati, perchè la mobilitazione non si esaurisca in un corteo partecipato, ma abbia continuità in una cittadinanza attiva e propositiva.

In conclusione i problemi nodali sono ben altri: chi realmente assume la rappresentanza dei bisogni e degli interessi degli strati sociali popolari non ricorrendo a illusorie promesse elettorali, quale il ruolo dei movimenti popolari e delle forze sociali e culturali per la realizzazione di pari opportunità per le popolazioni sotto-privilegiate che pure sono componenti vive della città. In fondo, come focalizzare ed operare per il superamento delle disuguaglianze sociali e civili urbane non riducibili a territori e quartieri a rischio e con disagi
sociali. E’ la mancata realizzazione della promessa di cittadinanza che viene reclamata, e il superamento dell’esclusione sociale di centinaia di migliaia di cittadini dalla partecipazione politica, più ventilata che attuata.

SAREMO CON ALTRI CITTADINI DI SCAMPIA NEL CORTEO DI POPOLO

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