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L’anno che verrà: il Sud e l’Irpinia nei numeri del rapporto Svimez

di Ciriaco Milano

Caro amico ti scrivo, perché, come cantava Lucio Dalla, da quando sei partito c’è una grossa novità: l’anno vecchio è finito ormai, ma qualcosa ancora qui non va.

Caro amico ti scrivo, per raccontarti che il Sud, la Campania e l’Irpinia sono un paese per vecchi. Il quadro che emerge dal rapporto Svimez 2014, infatti, ci restituisce un territorio che vive schiacciato in un processo di avvitamento sociale, culturale, economico e, perché no, anche politico.

Caro amico ti scrivo, perché il destino del Mezzogiorno è pressoché segnato, dilaniato da uno tsunami demografico, con giovani sempre più costretti ad emigrare per cercare lavoro e, di conseguenza, una popolazione residente sempre più anziana.

Il Mezzogiorno sta vivendo un nuovo spopolamento dovuto alla disoccupazione e all’emergenza sociale che ne deriva; il tasso di disoccupazione “corretto” al 31,5 % contro il 13,2 % del Centro-Nord ci dice che quasi una persona su tre al Sud non lavora, ma soprattutto che il livello degli occupati ha raggiunto quello del 1977.

L’occupazione giovanile (tra i 15 e i 34 anni) è al 27,6% con la drammatica conseguenza che solo un giovane su quattro lavora nel mezzogiorno d’Italia; in Campania, poi, il tasso di disoccupazione giovanile entro i 24 anni è arrivato al 51,7% a significare che, nella nostra regione, un giovane su due non lavora.

Il PIL pro capite è in calo e con esso anche il tasso di natalità, mentre aumenta a dismisura la percentuale di chi lascia questa terra verso il Nord Italia o verso l’Estero.

Caro amico ti scrivo, perché le previsioni non sono incoraggianti; stando ai dati, infatti, mentre nel 2015 il Centro-Nord timidamente risale con un +1,3% del PIL, il Sud sarà ancora in recessione con un -0,7% dovuta ad una flessione dei consumi dello 0,2% e degli investimenti del 1,6%.

Caro amico ti scrivo per questo, ma, soprattutto, perché tutti questi numeri apparentemente freddi e insignificanti, hanno in realtà un volto, un nome e un cognome; questi numeri hanno una storia che questo strano animale chiamato crisi sta, nemmeno troppo lentamente, spazzando via. Questi numeri sono la decadenza di una terra come l’Irpinia che è invecchiata troppo presto, sono le lacrime di chi stacca un biglietto senza data di ritorno, sono la disillusione che presto deve conoscere chi spera di aver diritto ad un pezzo di cambiamento e di rinnovamento di quelle che, comunque vada, resteranno le sue radici.

Caro amico ti scrivo perché questi numeri sono lo specchio del depauperamento a cui sono destinate, soprattutto, le aree interne della nostra regione e della nostra provincia; se queste sono le previsioni, non è da pessimisti immaginare in un futuro, nemmeno troppo lontano, interi paesi completamente disabitati in cui a parlare saranno solo le pietre, uniche reduci e testimoni dei tempi andati.

Caro amico scrivo a te che sei partito perché le statistiche a cui ormai siamo abituati sono permeate da un non so che di verghiano, da un sentimento comune in cui tra chi parte e chi resta non si sa chi vince e chi perde. Il grande tema che ci restituiscono è proprio questo, quello della partenza, del mancato sviluppo e, quindi, delle precarie condizioni di vita che si prospettano in questo pezzo d’Italia.

La nostra terra, i nostri paesi, le realtà che quotidianamente viviamo sembrano un grosso museo in cui è dato solo contemplare e rimuginare su un passato fiorente e luminoso, che però ha precluso, quasi del tutto, l’ambizione ad avere un futuro.

La televisione, però, ha detto che il nuovo anno porterà una trasformazione e tutti quanti stiamo già aspettando.

Caro amico ti scrivo perché, si dice, che se l’anno che verrà l’Italia “farà quello che deve fare” ce la farà; ma l’Italia è anche questo Sud che non può essere abbandonato, ma, soprattutto, che non può lasciarsi morire, che deve trovare in se stesso e nell’orgoglio della propria storia la forza di rialzarsi.

Caro amico ti scrivo perché, quando lo faceva Lucio Dalla nel 1979, l’Italia non era, per certi versi, molto diversa da quella di oggi; quell’Italia usciva dagli anni di piombo e cavalcava un’inflazione superiore al 20%, ma si seppe tirare su, seppe dare un futuro a sè stessa e all’Europa.

Quella, come questa, è un’era svogliata, un’epoca in cui “si esce poco la sera”, e questa come quella è una società impaurita, immobile e, al di là delle prospettive sognate, sempre uguale a se stessa.

Caro amico ti scrivo perché oggi come allora ci sono tante persone che hanno messo i sacchi di sabbia davanti alle finestre, che vogliono costruire dei muri invalicabili, che creano dei nemici immaginari mentre le nostre periferie sono sempre più il ritratto di un mondo in cui bianchi, neri, poveri di ogni sorte si scannano per un pezzo di pane e per un lavoro che non c’è.

Vedi caro amico, allora, però, l’anno che verrà fu veramente importante, l’anno che verrà fu, anche, l’anno del benessere e della prosperità.

Vedi caro amico ti scrivo per dirti che dobbiamo continuare a sperare e a costruire insieme l’anno che verrà. E dobbiamo farlo sbeffeggiando le false credenze, i vecchi luoghi comuni, le pochezze di questa società impaurita e chiusa. Dobbiamo farlo avendo il coraggio di rinnovarci, di abbandonare i bigottismi; dobbiamo farlo restituendo all’Italia il ruolo di guida che le compete in Europa e nel mondo.

L’anno che verrà dovrà essere l’anno di quelli che non lasciano alla Lega la bandiera dell’uguaglianza, che vedono nell’ebola e in chi arriva in Italia non la peste, ma la povertà e la sofferenza di milioni di esseri umani.

Caro amico ti scrivo, perché il nostro anno che verrà, l’anno che verrà del Sud e dell’Irpinia, dovrà ripartire dalle lacrime del viceministro De Vincenti, perché quelle lacrime devono diventare non solo il simbolo di una terra (come l’Irpinia) che non si arrende, ma soprattutto la metafora di una politica che ritrova la capacità di emozionarsi e di stare tra la gente.

La politica, dicevo. Caro amico ti scrivo anche per questo, perché tutti questi numeri li può cambiare solo la politica di una nuova e migliore classe dirigente meridionale. Caro amico ti scrivo perché la politica deve cambiare; caro amico ti scrivo perché certe volte i “nostri politici” mi riportano ad un altro grande successo della musica italiana, a quell’Alba Chiara che Vasco cantava sempre nel 1979. Ecco la politica, certe volte, sembra un pò come quell’adolescente che scopre per la prima volta il proprio corpo e si compiace di se stessa. Sola dentro una stanza. Appunto, e tutto il mondo fuori!

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