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Lo “sballo” della morte. Cronaca di un gioco finito male

Non si può morire a 15 anni, non in quel modo. Durante un sabato sera mentre con gli amici si sta seduti ad uno dei tavoli che affollano piazzale Arafat a Giugliano. Quegli istanti resteranno scolpiti nella memoria di chi era li presente per tanto tempo, forse per sempre. La cronaca di quei minuti, attraverso un articolo de Il Mattino, ripercorre i momenti di Giulia vissuti in maniera spensierata con gli amici di scuola.

Un giovane neo patentato, in un gioco folle fatto con le auto come ogni sera in quel piazzale, non è riuscito a mantenere il controllo della Renault Clio e si è scaraventato contro il tavolino proprio dove sedeva Giulia con gli amici. Inutile la corsa in ospedale per la giovane, mentre per Ivana, Ernesto e Salvatore non dovrebbero esserci complicazioni.

Bocchetti, nello stesso articolo de Il Mattino, racconta: «un’altra manovra azzardata, una delle tante che i giovani frequentatori di piazzale Arafat inscenano quasi tutte le sere: sgommate, accelerazioni e frenate improvvise e altre simili bravate. Una situazione di pericolo e incoscienza che ha più volte sollevato polemiche».

Quanto durerà la polemica? Lo stesso tempo che dureranno i controlli in quella piazza? E quanto dureranno i controlli?

“Se con i controlli non si ottiene nulla, figuriamoci senza”. La immagino questa frase, quasi la sento. Non si può legare la vita in Italia al solo controllo, che se manca, anche solo una sera maledetta, è lecito uccidere in nome dello “sballo”. Si, perché è questo il motore che muove queste azioni: lo “sballo” che, declinato in tutte le forme, rende lecito superare le barriere della propria libertà invadendo quella degli altri. Invadendo una piazza con la dimostrazione di essere in grado di fare manovre azzardate. Invadendo gli spazi ed uccidendo vite.

Sono morti tanti e nel loro nome è stato chiesto sempre la fine di episodi simili: la violenza nel calcio, l’uso della droga, l’abuso di alcol, le corse folli. Adesso legheremo il nome di Giulia a quel momento tragico, chiedendo che non accada più nulla di simile.

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