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Ok della Camera al ddl Magistrati. Regole di ingaggio per i giudici in politica.Spot alle porte girevoli.

Il punto è che fin qui non c’è una legge che metta i tornelli all’ingresso e in uscita dalle porte girevoli tra magistratura e politica, in sfregio alla separazione dei poteri dello Stato e in barba alla ricerca di un equilibrio tra due dei principi fondamentali della Costituzione. Con il ddl Magistrati approvato  alla Camera e in avvio per la terza e definitiva lettura al Senato, casi come quello di Emiliano, del Pm Sebastio, ma anche della Finocchiaro e di altri che siedono in Parlamento – non molti in realtà in questa legislatura- oppure che ricoprono ruoli di governo o aspirano a questi da magistrati in aspettativa, potrebbero essere normati da regole chiare e precise. Sempre che la legge passi anche al Senato, il che scontato non è, visto il tema, spinoso e delicato perché va a toccare equilibri da cristalleria. Poteri che, raccontano le cronache, si scontrano spesso lasciando nei contrasti il segno tangibile che un confine vada messo per forza.

Paletti in ingresso e in uscita per tutti i magistrati che fanno politica: ordinari, amministrativi, contabili e militari. Siano essi in attività o fuori ruolo. Paletti che valgono per tutte le elezioni -europee, politiche, regionali, amministrative – e per tutti gli incarichi di governo nazionale, regionale e negli enti locali.

Che cosa dice la legge. Dopo aver asserito il diritto inviolabile della candidatura passiva prevista dall’articolo 51 della Costituzione e quello a conservare il proprio posto di lavoro, sancito dallo stesso articolo, il ddl Magistrati detta le regole che consentono a un giudice di candidarsi e prevede le condizioni di rientro, una volta terminata l’esperienza politica.
Ingresso. Possono candidarsi al Parlamento italiano e a quello europeo così come negli enti locali quei magistrati il cui collegio elettorale sia diverso dal territorio dove ha svolto le sue funzioni nei 5 anni precedenti e deve essere già in aspettativa da almeno sei mesi. Se un magistrato assume un incarico di governo deve mettersi in aspettativa.
Uscita. Un giudice eletto o con incarichi governativi può rientrare in magistratura a fine mandato a tre condizioni: la prima è che ritorni in un distretto di corte d’appello diverso dalla circoscrizione di elezione, la seconda è che per 3 anni non ricopra incarichi direttivi o semidirettivi, la terza è che per 3 anni svolga esclusivamente funzioni giudicanti collegiali. Resta poi l’ipotesi di rientro presso l’Avvocatura dello Stato.

In sostanza, se passasse questa legge Michele Emiliano non potrebbe istruire inchieste in Puglia e certamente il Pm dell’Ilva correre per la poltrona di sindaco di Taranto dopo aver indagato il primo cittadino.

E magari certe relazioni pericolose tra politica e magistratura sarebbero più difficili.

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