Approfondimenti

Presentazione dell’opera Presepio (2016) di Jimmie Durham

In occasione delle festività natalizie entra a far parte della collezione del museo MADRE una nuova opera concepita e realizzata appositamente per il museo campano d’arte contemporanea: Presepio (2016) di Jimmie Durham (Arkansas, 1940) artista, scrittore e attivista politico che negli ultimi anni trascorre frequenti periodi a Napoli. Giovedì 22 dicembre (ore 18:00, sala Clemente, secondo piano) l’opera sarà presentata al pubblico in presenza dall’artista, introdotto dal presidente della Fondazione Donnaregina per le arti contemporanee Pierpaolo Forte e dal direttore del museo MADRE Andrea Viliani. La presentazione sarà anche l’occasione per porgere alla comunità i migliori auguri di Buon Natale e di un felice 2017.
Avvalendosi di una pluralità di linguaggi, come il disegno, la scrittura, il video, la performance e principalmente la scultura, Durham decostruisce i concetti cardine della cultura occidentale per smantellare stereotipi e costrutti imposti dalle culture dominanti, e lasciare all’essenza dei componenti delle sue opere – materiali eclettici sapientemente combinati tra loro – la possibilità di innescare una riflessione sugli statuti stessi dell’arte e della realtà.
La presentazione del nuovo presepe di Durham creato appositamente per il MADRE – un precedente presepe è stato realizzato dall’artista per l’ex Lanificio Borbonico di Napoli e presentato presso Lanificio Insula Creativa la scorsa domenica, 18 dicembre – rientra nell’ambito di Per_formare una collezione, progetto avviato nel 2013 e dedicato dal museo MADRE alla costituzione progressiva della sua collezione permanente, e continua una recente tradizione del museo, che nel 2015 presentò, in occasione delle festività natalizie, i presepi dell’artista Giosetta Fioroni.
Il Presepio di Jimmie Durham rispetta la caratteristica configurazione del Presepe Napoletano, in cui la nascita del bambino Gesù è ambientata nello scenario della città contemporanea e l’area del praesaepe è attorniata da numerose figure popolari, la cui caratterizzazione estetico-formale ha assunto, nel tempo, una grande pregnanza simbolica. Personaggi imprescindibili come il salvifico pescatore, il dormiente Benino, l’angelo messianico vengono collocati in uno scenario che, come spesso nel lavoro dell’artista, riproduce la vitalità del soggetto rappresentato attraverso le suggestioni conferite dalla preziosità cromatica, tattile e olfattiva propria dei materiali scultorei utilizzati.
In quest’opera Durham riesce a rievocare la storia di una fra le più antiche tradizioni artigianali campane e a rendervi omaggio, dando vita ai suoi protagonisti e al paesaggio con le stesse materie, il marmo e il legno policromo, usato dai primi scultori che raffigurano la natività. Al contempo Durham condensa in Presepio il suo stesso percorso artistico dominato dall’uso di questi stessi elementi, la pietra e il legno, seguendo il principio secondo cui la forza di una scultura risiede nella derivazione diretta dalle potenzialità della materia utilizzata per realizzarla: in questo caso pietra e legno.
La pietra – che per Durham rappresenta la massima espressione della forma scultorea in quanto elemento in continua evoluzione, oggetto statico potenzialmente attivo – è stata nei secoli asservita, come riscontrato dall’artista in molte sue opere, ai principi di monumentalità celebrativa applicati dall’architettura e dalla statuaria, come un mezzo per rafforzare l’egemonia politico-religiosa e affermare l’identità di un popolo. Durham sente di non poter fare altro che decostruire ironicamente tali (pre)concetti, rifiutando la concezione paradigmatica di arte come monumento e rovesciando quindi il ruolo prominente della pietra nella storia dell’arte. Nella tradizione presepiale napoletana settecentesca la nascita del bambino avviene del resto tra colonne e resti romani in pietra – struttura architettonica che coincide con la raffigurazione dei principi che Durham rifiuta – per sottolineare l’avvento del messaggio cristiano sorto dalle rovine del paganesimo. La pietra presente in Presepio è quindi inserita senza modificazione alcuna, elemento libero di esprimersi e arricchire un paesaggio in cui la sua presenza non coincide con la costruzione architettonica umana ma con l’elemento naturale.
Nel Presepio di Durham le strutture portanti sono costituite quindi, invece che dalla pietra, dal legno – un frammento di una radice d’ulivo che diviene il cuore pulsante della scena, il fulcro attorno al quale tutti i personaggi si raggruppano nella celebrazione del più naturale degli eventi umani, una nascita, che nell’abbagliante semplicità del suo accadimento riesce a cambiare le sorti del mondo più di qualsiasi altro evento rivoluzionario. Così, se con l’inserimento della pietra grezza l’artista decostruisce i cardini di ogni pretesa di dominazione monumentale, l’uso del legno rappresenta la contrapposizione tra matericità e materialismo. Per l’artista, infatti, un pezzo di legno è come una reliquia sacra, massima rappresentazione della magnificenza propria del creato, capace di raccontare una storia millenaria attraverso le sue proprietà intrinseche. L’estrema povertà di un materiale reperibile in qualsiasi latitudine come il legno, caratterizzato da una versatilità di portata universale, riassume il miracolo della natura. Qualsiasi sia il manufatto realizzato a posteriori (con maggiore o minore minuzia, con la decoratività che contraddistingue la cultura dal quale l’oggetto finale prende forma), è l’organicità della materia lignea a trasmettere l’essenza delle cose.
Tale celebrazione dell’universo con le sue creature si esprime in Presepio attraverso il sottile riferimento a San Francesco d’Assisi, a cui è attribuita la creazione del primo presepio ed evocato con l’inserimento di tanti piccoli animali intagliati magistralmente dall’autore nei residui di legno più ricchi di sfumature. San Francesco non solo professa la povertà di cui il bambino Gesù si fa interprete, ma è il portavoce dell’umiltà nella possibilità per l’uomo di nutrirsi della bellezza di ogni espressione del creato, comprendendo quanto il rapporto tra ricchezza e povertà possa essere, oggi Aggiungi un appuntamento per oggi come allora, solo una percezione culturale. E’ nella dichiarazione della straordinaria normalità degli eventi, nella rappresentazione di una scena di vita che si cristallizza nell’adorazione di un neonato da parte dei più poveri come dei più potenti del mondo – non a caso i re magi sono di tre età e di tre etnie differenti, ritenute all’epoca rappresentative della varietà umana globale – che si compie il vero miracolo, mentre il pescatore continua a pescare, il mendicante a chiedere aiuto e i pastori a guidare il gregge. L’umanità trasfigurata nei personaggi scolpiti da Durham con legno, pietra, corno, bronzo, arricchiti da semplici tocchi di colore o l’apposizione di un frammento di tessuto o di pelle, e l’allusiva ambientazione creata da particelle di natura assemblate, conferiscono a questo presepe una spiritualità arcaica e intima, sottolineando la capacità dell’artista di vedere lo straordinario nell’ordinario e la bellezza del mondo nelle sue manifestazioni più impercettibili, e di constatare che il miracolo può, in ciascuna delle declinazioni ad esso attribuibili, essere esperito e vissuto solo da chi ha l’umiltà per accoglierlo.
Jimmie Durham (Arkansas, 1940) è un artista, saggista, poeta e attivista politico. Dopo aver studiato arte a Ginevra, nel 1973 Durham torna negli Stati Uniti e diviene un attivista dell’American Indian Movement, associazione a sostegno dei diritti dei Nativi Americani. In questi anni si dedica esclusivamente all’attività politica e diviene direttore dell’International Indian Treaty Council e rappresentante delle Nazioni Unite. Dopo un decennio d’intensa attività politica Durham si trasferisce a New York e riprende contatto con l’ambito delle arti visive. Dopo aver vissuto alcuni anni in Messico, nel 1994 l’artista è di nuovo in Europa e questa forma di esistenza nomadica fa sì che, nel suo lavoro, diventi centrale il tema del dinamismo delle forme con cui l’uomo risponde ai bisogni più essenziali, insieme con una disamina critica della supposta unitarietà dell’identità individuale e culturale. Tra le materie ricorrenti nella pratica scultorea, installativa e performativa di Durham ritroviamo la pietra e il masso, che assumono un valore simbolico o svolgono un’azione distruttiva. In molte sue opere i simboli della contemporaneità e del benessere (mobilio, frigoriferi, automobili o aerei), appaiono schiacciati sotto il peso di pietre e massi, che Durham ha descritto come riferimenti all’architettura, una disciplina che l’artista interpreta criticamente come struttura che ci illude di vivere nella stabilità e che, in contrasto con la natura, crea invece un ordine che spinge gli uomini a una ripetitività infinita di gesti e consuetudini. Nei primi anni Novanta l’artista inizia a produrre una serie di sculture assemblando tra loro materiali e oggetti eterogenei: elementi di recupero di origine industriale, utensili e beni di consumo quotidiano composti a formare strutture all’apparenza arbitrarie. Gli scarti della società dei consumi sono consapevolmente abbinati a elementi di origine naturale, o che si riferiscono a culture tradizionali, in modo da formare agglomerati totemici e quasi rituali dai riferimenti molteplici: ritratti insieme entropici, lirici e critici della nostra contemporaneità e del suo inconscio multiforme, in cui coesistono efficientismo industriale e mistero insondabile, tradizione e poesia, aneddoto e storia.

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