Cultura

Rifugiati-artisti, il progetto di co-design e integrazione in Irpinia

Ammafà. Dobbiamo fare.

E in effetti, fin quando dalle parole non si passa ai fatti, non si ha contezza della forza dirompente dell’azione delle nostre mani, mani che possono costruire ponti, connessioni tra mondi e culture, popoli e ambienti. Ammafà è il laboratorio di Pratiche Urbane che si è occupato della progettazione di “mOSàiC_intercultural workshop of public art” di Sant’Angelo dei Lombardi, in Irpinia. Un paese che sta provando a reagire dopo la dura stagione dei tagli: chiuso il tribunale e quindi la Procura, ridimensionato l’ospedale, a rischio altri uffici pubblici. La nobile decaduta dell’Alta Irpinia, guidata dal sindaco democratico Rosanna Repole, è alla ricerca di una nuova identità che passa anche attraverso l’ospitalità e l’accoglienza dei rifugiati politici e dei richiedenti asilo africani e asiatici. Sono trenta in tutto, gli ultimi arrivati nell’ambito dello SPRAR vengono dal lontano Pakistan, altri arriveranno nelle prossime settimane.

A loro si è rivolto il progetto “moSàic”, un esempio concreto di politiche per l’integrazione che puntano a valorizzare i luoghi, ma pure le persone. Mettendo insieme solidarietà e volontariato, il Comune ha promosso a costi contenuti il restyling del parco di via Mancini, un’area verde abbandonata con un posto di riguardo nella memoria collettiva del paese per la presenza della Stele del terremoto. Il progetto ha previsto la costruzione di strutture in legno e la commistione di diverse forme artistiche: il disegno, il collage, il mosaico e il murales. Il workshop “moSàic” ha coinvolto cittadini e volontari, operatori del terzo settore e ospiti del Centro Sprar stimolando la contaminazione tra culture e gettando le basi per un percorso concreto di inserimento dei rifugiati nelle attività del Comune altirpino e di costruzione di un senso di comunità che varca i confini geografici. A partire proprio dalla compresenza, nello stesso angolo del paese, della Stele, ricordo di una pagina triste della storia comune ma pure del grande sforzo compiuto per rimettersi in piedi dopo l’evento tragico del 1980, e della riproduzione del monumento dell’indipendenza pakistana.

Abbiamo chiesto all’architetto Alfonso Bisecco, animatore di Ammafà_laboratorio di pratiche urbane assieme all’amico Davide Cassese, di raccontarci come è nata quest’esperienza. Era la prima volta che lavoravate con dei rifugiati?

«L’idea è nata dall’esigenza del Comune di Sant’Angelo dei Lombardi di rigenerare uno spazio urbano in stato di parziale abbandono e dalla volontà, condivisa dall’amministrazione, di coinvolgere in questo progetto i migranti del centro Sprar. L’intento è stato quello di creare una dinamica di integrazione culturale e cooperazione con gli abitanti, innescando una pratica di cittadinanza attiva. Fino ad ora, con il nostro laboratorio di pratiche urbane “Ammafà”, avevamo collaborato con scuole, festival, associazioni e  attività commerciali, con istallazioni, scenografie e laboratori di eco-design e riciclo creativo. Quindi questo progetto con la comunità di migranti e con gli abitanti di Sant’Angelo è stato un arricchimento che ci ha permesso di approfondire uno dei nostri obiettivi principali, che è quello dell’innescare processi di rigenerazione urbana attraverso dinamiche partecipative».

Quali difficoltà, nel caso se ne siano presentate, avete incontrato nell’interfacciarvi con questi ragazzi?

«La nostra preoccupazione iniziale era quella di riuscire a comunicare nel modo giusto le nostre intenzioni e lo spirito del workshop ai partecipanti che, magari presi da preoccupazioni più delicate del quotidiano, potevano percepire una distanza con l’attività che gli andavamo a proporre. Invece il totale coinvolgimento in tutte le fasi del progetto, l’attività creativa, ma soprattutto lo stare insieme e il lavorare per un progetto comune ha innescato in loro un legame con il luogo in cui di giorno in giorni si rivedevano e la voglia di trasmettere la propria cultura e le proprie idee. Tale processo ha permesso di trasformare anche le differenze linguistiche in una risorsa sia per il progetto che per l’interazione, al punto da creare, nel corso dei giorni, una lingua meticcia comprensibile un po’ a tutti».

I rifugiati sono stati coinvolti nella fase di realizzazione materiale del parco o anche in quella di ideazione? Avevano già competenze tecniche a riguardo?

«Obiettivo del lavoro di Ammafà_laboratorio di pratiche urbane è l’innescare processi di partecipazione che coinvolgano gli utenti in ogni fase delle attività, dalla progettazione alla realizzazione. Per il progetto “mOSàic” insieme ai ragazzi del Centro Sprar sono stati fatti sopralluoghi, durante i quali si interagiva con gli abitanti, annotando quelle che erano secondo loro le criticità e le potenzialità del sito e tavoli di lavoro per la raccolta collettive di idee, immagini, canzoni da trasformare poi in progetto. Questo processo benché più lungo permette che il prodotto finito sia sentito nel profondo da tutte le componenti che ne hanno fatto parte, innescando quindi dinamiche di “riappropriazione virtuosa” dello spazio, stimolando la manutenzione e la cura per uno spazio pubblico nel quale ci si riconosce e lo si sente come proprio. Nel corso delle attività progettuali, manuali e creative i partecipanti hanno dato un contributo essenziale, esprimendo le loro competenze professionali, che andavano dalla realizzazione di strutture in legno, al disegno tecnico al computer, dai lavori in muratura a quelli di pitturazione. Inoltre il clima di scambio reciproco, innescato dal workshop, ha permesso anche a chi non aveva competenze specifiche di inserire parte di sé nel progetto e avere un approccio con tecniche artigianali e artistiche, creando come da intenzione questo scambio e trasmissione di conoscenze e tecniche».

Quali altri progetti di co-design segue Ammafa_laboratorio di pratiche urbane?

«Proprio in contemporanea a questo progetto appena concluso stiamo avviando un altro appassionante percorso laboratoriale con la comunità Rom di Scampia, a Napoli. E’ un processo di progettazione partecipata, in collaborazione con l’associazione Chi Rom e Chi No che da 10 anni lavora coi Rom a Napoli e l’agenzia Dopolavoro.org, per la creazione degli arredi della nuova sede dell’associazione “Chikù” sita nel centro polifunzionale di Scampia».

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