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Ripartono i colloqui, ma è necessario riportare al centro la rieducazione

Dal 18 maggio si è avviata, seppur lentamente, la cosiddetta fase 2 anche in carcere. Il dipartimento di amministrazione penitenziaria ha diramato una circolare rivolta alle singole direzioni penitenziarie per affrontare nel modo giusto una leggera apertura necessaria soprattutto per restituire alla pena il fine rieducativo che le appartiene. Innanzitutto sarà possibile riprendere i colloqui con i propri familiari: il dap ha consigliato di svolgere due colloqui al mese e con una sola persona, tuttavia le singole direzioni degli istituti potranno decidere quali modalità e condizioni adottare, valutando la situazione emergenziale differentemente diffusa su tutto il territorio nazionale. In Campania, ad esempio, in alcune carceri i colloqui sono già ripresi, mentre in altre ripartiranno nei prossimi giorni, e tendenzialmente con un solo familiare, in modo da evitare
assembramenti rischiosi.

Come sottolineato dal Garante regionale dei detenuti Samuele Ciambriello, tutto si svolgerà in modalità tali da salvaguardare detenuti e familiari, adottando tutte le norme di tutela sanitaria necessarie. Per i detenuti che non vorranno svolgere il colloquio in presenza, rimarrà ferma la possibilità delle video chiamate, introdotte durante la fase emergenziale per sopperire all’impossibilità dei colloqui fisici. Tale strumento si è rivelato molto efficace,
rappresentando una grande svolta e sarebbe quindi importante mantenerlo anche una
volta conclusa la fase emergenziale, aggiungendolo al colloquio in presenza.

Permettere al detenuto di sentirsi vicino alla propria famiglia lo aiuta nel percorso di risocializzazione cui la pena tende e riduce il rischio di alienazione e solitudine a cui spesso la reclusione conduce. Inoltre, per molti detenuti, anche laddove fosse stato possibile, non è stato rispettato il principio di territorialità della pena, dunque essi si trovano lontani dalle loro famiglie che non possono andare ai colloqui ogni settimana, spesso anche per ragioni di
natura economica. Sarebbe straordinario se, a crisi finita, si continuasse a far video-telefonare i detenuti con
i propri cari, anche se gli incontri live saranno nuovamente possibili. Non c’è motivo per
negarlo. Non c’è ragione di sicurezza che lo impedisca.

Quella securitaria è un’ossessione spesso ingiustificata. Una sicurezza invadente è una sicurezza mai mirata. L’orgia del controllo di massa è solo funzionale alla rassicurazione simbolica, alla costruzione di un modello illiberale di società, ma nulla ha a che fare con i bisogni reali di sicurezza individuale e comunitaria: questo quanto affermato da Patrizio Gonnella, presidente dell’Associazione Antigone, in un appello finalizzato proprio al mantenimento delle
videochiamate in aggiunta al colloquio. Al di là dei colloqui, per i quali bisognerà predisporre misure sanitarie e mezzi divisori  adeguati, per il carcere non si può parlare di una vera e propria riapertura: nonostante in molti istituti sarà possibile effettuare comunque gli esami per coloro che hanno frequentato la scuola e l’università, decine di programmi per lavoro, formazione e tantissime attività di volontariato, che rappresentano per i detenuti una boccata di ossigeno, rimarranno bloccate a tempo indeterminato.

Il ritardo nell’avvio della fase due in carcere dimostra che gli istituti penitenziari rappresentano ancora delle vere e proprie bombe epidemiologiche: in essi si annida ancora un elevato rischio di contagio dovuto alle condizioni di promiscuità in cui la popolazione detenuta vive. È quindi necessario portare avanti l’opera di riduzione del sovraffollamento iniziata a marzo, considerato che le carceri non hanno ancora raggiunto la loro capienza
regolamentare. Tuttavia, il comma dedicato agli istituti penitenziari inserito nel DPCM firmato il 17 maggio, in cui si raccomandava l’utilizzo della detenzione domiciliare laddove possibile, in particolare per i nuovi giunti che presentassero sintomi e per i quali non fosse possibile operare un isolamento efficace, è stato eliminato e sostituito da un generico riferimento a misure idonee predisposte dalle articolazioni territoriali del servizio sanitario nazionale. Non bisogna dimenticare, inoltre, che il calo di presenze in questo periodo è
stato facilitato dal contestuale calo di reati dovuto al lockdown che però, una volta tornati alla nostra triste normalità, probabilmente non manterrà lo stesso trend. Bisognerebbe dunque tenere la guardia alta, e ricordarsi che il rischio è ancora elevato. Se bisogna tendere ad una graduale riapertura che scongiuri qualsiasi pericolo di diffusione del virus, allo stesso tempo bisogna restituire un briciolo di normalità anche ai reclusi, e con essa rimettere al centro del dibattito la funzione rieducativa della pena.

A cura di Giusy Santella

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