Cultura

Rubens, Van Dick e Ribera in mostra a Palazzo Zevallos

La più importante mostra del momento in Italia: “Rubens, Van Dick e Ribera la collezione di un principe”: è quella che si tiene a Napoli a Palazzo Zevallos e si potrà ammirare fino al 7 aprile . Essa racconta la storia di un prezioso patrimonio di famiglia, appartenuto alla famiglia Vandeneynden che a partire dagli ultimi decenni del Seicento abitò nella sontuosa dimora di via Toledo, disperso, ritrovato dopo secoli e ricongiunto per la prima volta nelle stesse sale dove in passato fu a lungo ammirato. Tommaso Puccini che visitò la raccolta nel 1783 ne offrì una dettagliata descrizione nei suoi appunti di viaggio. Mentre il canonico Carlo Celano, precedentemente, aveva parlato invece di “bellissime dipinture, et in quantità, de’ famosi maestri così antichi come moderni”.

L’inventario del 1688, stilato da Luca Giordano, registra in effetti oltre trecento dipinti, tra cui esemplari di Paul Bril, Caravaggio, Jan Brueghel, Aniello Falcone, Luca Giordano, Jan Miel, Mattia Preti, Nicolas Poussin, Francesco Albani, Jusepe de’ Ribera, Salvator Rosa, Pieter Paul Rubens, Anton Van Dyck, numerose nature morte, paesaggi e battaglie di altri maestri, per lo più fiamminghi, alcuni dei quali erano legati alla famiglia Vandeneynden da stretti rapporti di parentela. Questa fitta rete di relazioni aveva favorito la formazione delle due maggiori raccolte napoletane del XVII secolo che esercitarono grande influenza sui gusti collezionistici e sugli sviluppi della pittura napoletana coeva.

In mostra a Palazzo Zevallos si potranno ammirare in tutto 36 opere, in prestito da collezioni private e musei nazionali e stranieri: dalla Galleria Sabauda di Torino al Museo e Real Bosco di Capodimonte, dal Museo Nazionale del Prado al Los Angeles County Museum of Art. Fra questi figurano alcuni dipinti mai esposti in Italia come La merenda di Jan Miel che proviene dal Prado, i due Jan Fyt di collezione spagnola, e gli inediti Scena di porto di Cornelis de Wael, Erode con la testa del Battista attribuita a Orbetto, la Tentazione di Adamo ed Eva di Vincenzo Gesualdo. Capolavori in mostra che celebrano il respiro europeo dell’arte e del collezionismo nel Seicento a Napoli, a partire dal quarto decennio del Seicento, che fu il periodo di più intenso rinnovamento e di più vivace emancipazione culturale per gli artisti napoletani. Per anni le esperienze pittoriche più svariate si affrontarono e si confrontarono come in un grande crogiolo per dar luogo agli orientamenti dei decenni successivi. Tutti i pittori aggiornarono e modificarono il loro linguaggio al confronto di nuove forme espressive facendo tesoro degli apporti esterni, dall’esaltante colorismo barocco di Rubens e van Dyck,

La corrente pittoricistica che prende quota a Napoli nella seconda metà degli anni Trenta, oltre ai modelli del Van Dyck e del neo venetismo, trae spunto dal lavoro incessante di Pieter Paul Rubens, l’artista più spettacolare e rappresentativo del gusto barocco, il cui messaggio gioioso ed irrefrenabile si irradia su tutta la pittura europea.
Nel 1640 giunge a Napoli nella collezione di Gaspare Romer il suo Banchetto di Erode , oggi ad Edimburgo, gemma della National Gallery of Scotland, in un tripudio di colori, una musica soffusa nella fermentante vitalità degli accordi cromatici. Il De Dominici ci parla dell’influsso che questo dipinto ebbe sul Cavallino che «accorso con altri pittori per vedere cosa di cui erasi sparsa così gran fama, e tanto bella gli parve, che quasi incantato dalla magia di que’ vivi e sanguigni colori con meravigliosa maestria adoperati, si propose imitarla».

È da questa pittura, luminosa e dilagante, che nascerà quella barocca, che troverà negli anni a venire in Luca Giordano il protagonista assoluto.

E diamo di nuovo la parola al De Dominici il quale ci rammenta che nelle case dei più grandi collezionisti napoletani, abitualmente frequentate dal Giordano, era possibile ammirare capolavori del Rubens: «opera non mai abbastanza lodata, essendo dipinta col più vivo colore che mai adoperasse quell’ammirabile pittore». Il messaggio del Rubens, che da Venezia a Genova, città dove visse più a lungo, si irradiò per tutta la penisola, fu pregno di novità: intensità, calore e ricchezza cromatica, briosità di esecuzione, abbandono del chiaroscuro a vantaggio di colori vivi e vibranti di luce che cangiando muta i colori, caldi e ricchi di materia, massima libertà di esecuzione, con una pennellata grassa e fluida.

Tutti questi caratteri furono lentamente assimilati da generazioni di pittori, che ne fecero parte integrante della propria cifra stilistica.

L’adesione a questi nuovi messaggi linguistici da parte dell’ambiente artistico napoletano non significò un rifiuto della precedente esperienza naturalista bensì un arricchimento culturale ed un’occasione per sperimentare nuovi mezzi espressivi più ricchi e variegati, in grado di esprimere i sentimenti e le emozioni più profonde, in un clima di cordiale comunicatività e di naturalezza espressiva.

I soggiorni a Roma, anche brevi, erano frequenti e tutti gli artisti tornavano dalla città eterna con negli occhi un mondo tumultante di immagini in volo vorticoso negli spazi illusori di cieli infiniti, tra il dilagare di luci solari e di materie preziose.

Nell’aria si respiravano le creazioni dai colori squillanti che Rubens, tra una missione diplomatica e l’altra, ci donava, immagini di gioia, archetipo di mondi di felicità travolgente o si potevano ammirare le solenni composizioni di Poussin immerse in una calma serafica di un mondo regolato da leggi al di fuori del tempo e dello spazio; ma questa è la meraviglia dell’arte che ci offre il conforto di grandi certezze, di punti di riferimento sereni e sicuri e, nello stesso tempo, lascia libero spazio alla fantasia ed alla sensibilità di ciascuno di noi nel percepire il messaggio che l’artista ci invia e ci invita a raccogliere.

Diamo ora la parola alle immagini e proponiamo al lettore alcuni dei dipinti in mostra partendo da uno spettacolare capolavoro di Luca Giordano: una Nascita di Venere dalla sensualità prorompente, che espone dei seni, talmente affascinanti che l’osservatore rimane letteralmente stregato. Esso è conservato in un museo dimenticato della provincia francese, mentre meriterebbe un posto di rilievo nel museo di Capodimonte, dove viceversa dimorano numerosi quadri già nella celebre collezione, come il Sileno ebbro, eseguito nel 1626 dal Ribera, che ci mostra un individuo dall’addome batraciano, che deborda senza ritegno oltre ogni limite.

Sempre da Capodimonte proviene il quadro di Stanzione che si intravede in fondo alla sala, mentre a sinistra è esposto un celebre Martirio di Mattia Preti ed a destra un Ritratto di due incisori di Van Dyck, autore anche dei ritratti di principe e principessa , posti lungo il corridoio.

Proseguiamo la nostra carrellata con un tenebroso Banchetto di Erode di Mattia Preti a cui fa compagnia un Guercino(fig. 10) da favola, giunto a piedi al secondo piano(fig. 11), perché non aveva la monetina per adoperare l’elegante ascensore.

In un angolo, solenne, spicca un raro quadro di soggetto sacro di Aniello Falcone, da alcuni anni esposto nel museo diocesano, dopo aver soggiornato a lungo nella sacrestia del Duomo.

Passiamo ora a Paesaggi e Marine (fig. 13), soffermandoci in particolare su un dipinto di Salvator Rosa , per concludere con un Giordano fasullo in compagnia di un modesto Ribera.

Ed approfittiamo di questo dipinto, con la sigla di un famoso pittore fiammingo, per confermare l’affermazione di un Luca, non tanto falsario, quando in grado, se richiesto dal committente, di imitare lo stile di qualsiasi artista. Una capacità di cui egli era orgoglioso, a tal punto che quando nel 1688, come abbiamo riferito, fu incaricato di stilare l’inventario della collezione Vandeneynden, trovandosi al cospetto di un celebre quadro, pomposamente firmato:” Jusepe De Ribera espanol fecit”, non ebbe remore nel dichiarare nella scheda: “Firma dello Spagnoletto, mano di Giordano”, dichiarando chiaramente di essere lui l’autore del quadro.

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