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Troppi stranieri, l’Inghilterra ce la farà a sostenerli?

Mentre gli italiani si preparano al rientro dalle ferie estive, c’è chi invece sta affrontando un altro tipo di viaggio, di quelli con un biglietto di sola andata, e al ritorno non ci pensa proprio. I migranti continuano ad arrivare sulle coste nostrane e del resto d’Europa senza sosta, viaggiando tutto l’anno, non soltanto d’estate. Dopo i recenti arrivi (e le recenti tragedie), i climi si son fatti, come si suol dire, ancora più infuocati, e la tensione diventa quasi palpabile. Anche Papa Francesco, durante l’Angelus, ha voluto spendere qualche parole per le vittime rinvenute in Austria in un camion, per ricordarci che «le morti dei migranti sono crimini che offendono l’intera famiglia umana». Ma se la guida spirituale della Chiesa di Roma parla di misericordia e di umanità, i politici e i capi di stato del vecchio continente guardano le cos da un altro punto di vista.

Theresa May, per esempio, ministro dell’Interno britannico, ha espresso la sua posizione sulle pagine del Sunday Times, prendendosela con gli accordi di Schengen che hanno permesso una libertà di movimento spropositata, a suo dire, tanto da portare in Inghilterra centinaia e centinaia di migranti. A finire nel mirino del ministro non sono soltanto i profughi provenienti dall’Africa o dal Medio Oriente, ma persino gli europei, compresa quella moltitudine di italiani che ogni anno arriva in Gran Bretagna per costruirsi una nuova vita al di là della Manica. Theresa May auspica che ben presto nella sua Inghilterra possa giungerci esclusivamente chi abbia già un contratto di lavoro bell’e pronto, così come chiunque si trovi lì per motivi di studio dovrà tornarsene in patria una volta terminato il corso di studio (salvo trovarsi un lavoro in tempo, s’intende). Da quando David Cameron si è insediato come Primo ministro inglese, il flusso migratorio che da ogni parte d’Europa arriva dritto dritto al suo Paese è sempre stato uno dei problemi all’ordine del giorno, e nel Regno Unito sono in tanti a voler mettere un limite al numero di ingressi, soprattutto una fetta dell’elettorato di destra.

Eppure, a guardar bene, qualcosa non torna. Perché al di là delle parole del ministro May, della volontà degli elettori inglesi, o delle pressioni dell’UKIP, una grossa fetta dell’economia funzioni proprio grazie all’impiego di migranti europei. E non stiamo parlando dei soliti cervelli in fuga, laureati con master e dottorati nel curriculum che cercano fortuna all’estero; parliamo invece di un’altra fascia di lavoratori, diciamo pure l’ultimo anello della catena, il gradino più basso della piramide: che siano i cassieri di un supermercato o i commessi che servono dietro al bancone di un fast food, il settore della ristorazione pullula di stranieri, naturalmente anche italiani. Secondo le stime ufficiali, l’immigrazione dell’ultimo anno ammonta a ben 330.000 unità in più, di cui quasi 60.000 provengono dal Belpaese. Entrate in una qualunque pizzeria o coffee shop, e con molta probabilità vi accorgerete che la metà delle persone che ci lavorano sono ragazzi che vengono proprio dall’Europa, e chissà che non incontriate anche qualche nostro connazionale.

Le cose stanno così, o agli inglesi non va per niente di fare quei lavori lì, oppure non sono abbastanza da ricoprire tutte le postazioni necessarie. Una terza ipotesi potrebbe essere che i lavoratori stranieri costano di meno, il che accomunerebbe gli immigrati d’Inghilterra a quelli di ogni dove, Italia compresa. Ad ogni modo, pare che le aziende e le catene di casa a Londra e dintorni ne abbiano bisogno per continuare la loro attività. Potrebbe servire come contentino per gli inglesi la soluzione che il premier Cameron ha già annunciato, quella di escludere gli ultimi arrivati dal welfare, ovvero negargli i sussidi per i primi quattro anni. Però neppure suona tanto logico considerato che, se l’economia inglese prospera e fiorisce, lo si deve anche a quelle aziende e a quelle catene che adoperano greci, spagnoli e italiani nei loro punti vendita.

A ben guardare pare un do ut des, poiché i giovani che si trasferiscono all’estero vanno in cerca di un lavoro, e all’Inghilterra quei giovani hanno sempre fatto comodo fino ad ora. Se parliamo di ragioni di sicurezza, di maggiori controlli su chi entra e chi esce, allora siamo tutti d’accordo. Ma quando il ministro May mette in discussione i principi dell’UE, affermando che libertà di circolazione non significa libertà di attraversare le frontiere per cercare un lavoro, la prossima volta che entra da Starbucks dovrebbe chiedersi da dove viene chi le serve il caffè.

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