Approfondimenti

Umberto Galimberti incontra i giovani sul tema “L’UOMO NELL’ETÀ DELLA TECNICA”

L’incontro vuole evidenziare la trasformazione che subisce l’uomo nell’età della tecnica, di cui siamo tutti scarsamente consapevoli, perché continuiamo a pensare la tecnica come uno strumento a nostra disposizione, mentre la tecnica (e non più la natura) è diventata l’ambiente che ci circonda e ci costituisce secondo quelle regole di razionalità che, misurandosi sui soli criteri della funzionalità e dell’efficienza, non esita a subordinare le esigenze dell’uomo alle esigenze dell’apparato tecnico.

Per effetto di questa inconsapevolezza, l’uomo si muove, nell’età della tecnica, ancora con i tratti tipici dell’uomo pre-tecnologico che agiva in vista di scopi iscritti in un orizzonte di senso, con un bagaglio di idee proprie e un corredo di sentimenti in cui si riconosceva. L’età della tecnica ha abolito questo scenario “umanistico”, e di conseguenza le domande di senso che sorgono restano inevase, non perché la tecnica non è ancora abbastanza perfezionata, ma perché non rientra nel suo

programma trovar risposte per simili domande.
La tecnica infatti non tende a uno scopo, non promuove un senso, non apre scenari di salvezza, non redime, non svela la verità, la tecnica funziona, e siccome il suo funzionamento diventa planetario, occorre rivedere i concetti di individuo, identità, libertà, salvezza, verità, senso, scopo, ma anche quelli di natura, etica, politica, religione, storia, di cui si nutriva l’età pre-tecnologica e che ora, nell’età della tecnica, dovranno essere riconsiderati, dismessi o rifondati dalle radici.
Se infatti la tecnica dispone l’uomo di fronte a un mondo che si presenta come illimitata manipolabilità, la natura umana non può essere pensata come la stessa che si relazionava a un mondo, che è poi il mondo che la storia ci ha finora descritto, ai suoi limiti inviolabile e fondamentalmente immodificabile. E ciò significa che l’uomo non può pensare di usare la tecnica come qualcosa di neutrale rispetto alla sua natura, ma dovrà almeno ipotizzare che la sua natura si modifica in base alle modalità con cui egli si declina tecnicamente.
Eppure ancor oggi l’umanità non è all’altezza dell’evento tecnico da essa stessa prodotto e, forse per la prima volta nella storia, la sua sensazione, la sua percezione, la sua immaginazione, il suo sentimento si rivelano inadeguati a quanto sta accadendo. Infatti, quanto più si complica l’apparto tecnico, quanto più fitto si fa l’intreccio dei sottoapparati, quanto più si ingigantiscono i suoi effetti, tanto più si riduce la nostra capacità di comprensione dei processi, dei risultati, degli esiti, per non dire degli scopi di cui siamo parti e condizioni. E così da “analfabeti emotivi”, perché la capacità di reazione del nostro sentimento si arresta alla soglia di una certa grandezza, assistiamo all’irrazionalità che scaturisce dalla perfetta razionalità (strumentale) dell’organizzazione tecnica, che cresce su se stessa al di fuori di qualsiasi orizzonte di senso.
Nata sotto il segno dell’anticipazione, di cui Prometeo, “Colui che pensa in anticipo”, ne è il simbolo, la tecnica finisce in questo modo col sottrarre all’uomo ogni possibilità anticipatrice, e con essa quella responsabilità e padronanza che deriva dalla capacità di prevedere. In questa incapacità, divenuta ormai inadeguatezza psichica, si nasconde per l’uomo il massimo pericolo, così come nell’ampliamento della sua capacità di comprensione la sua flebile speranza.
Questo ampliamento psichico, non solo non può esser raggiunto, ma neppure intravisto dal sapere psicologico che finora si è affermato in Occidente, perché si tratta di un sapere fondamentalmente “umanistico”, che ancora prevede l’uomo come soggetto e la tecnica come strumento, mentre nell’età della tecnica il rapporto è esattamente capovolto. Occorre allora sostituire alle psicologie del soggetto, che sono poi tutte le psicologie, la psicologia dell’azione che, se da un lato non è sufficiente a dominare la tecnica, evita almeno all’uomo che la tecnica accada a sua insaputa e, da condizione essenziale all’esistenza umana, si traduca in causa dell’insignificanza del suo stesso esistere.
A differenza dei Greci, che avevano incatenato Prometeo, noi oggi l’abbiamo scatenato, per cui ci veniamo a trovare in quella pericolosa situazione dove la nostra capacità di fare è enormemente superiore alla nostra capacità di prevedere gli effetti del nostro fare.

 

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