Economia e Welfare

Violenza social: quando l’immagine è virale

Comunicare attraverso i social network è ormai una pratica che rientra nella quotidianità di ognuno di noi. I giovani, ma anche le vecchie generazioni, dedicano almeno un momento della propria giornata a commentare un post su Facebook, taggare un amico in una foto, twittare su Twitter o condividere un’immagine su Instagram.

Così tutto è trasmesso in tempo reale ai nostri follower e, proprio l’idea di essere seguiti continuamente da chiunque sia connesso in quel momento, fa scattare un meccanismo per cui tutto debba essere condiviso. Ed ecco comparire sulle bacheche dei vari social, immagini di ogni tipo, dall’acquisto appena fatto, a ferite sanguinanti, incidenti e quant’altro. Insomma non c’è più alcun filtro, o limite a ciò che si vuole comunicare. Quel che conta, è essere perennemente al centro dell’attenzione, shockare i propri “amici” e ottenere quanti più like e commenti possibili. E questa smania del condividere, fa sì che non esista una soglia per ciò che può essere pubblicato.

In questo modo, agli occhi degli utenti, appaiono foto brutali, che, descrivono violenze subite o effettuate e, sebbene sia stato un “amico” a condividerle, non si è scelto di vederle. Immagini di gatti mozzati, cani maltrattati, uomini pestati a sangue e cadaveri, giungono agli occhi delle persone, senza che si possa far nulla per evitarlo. Foto sempre più violente, magari censurate dai media, proprio per la loro crudezza, sono rese pubbliche ogni giorno. Come ad esempio gli scatti dei bombardamenti, che si stanno consumando negli ultimi giorni, che mostrano le vittime della guerra, bambini feriti o addirittura morti, e che sono presenti su ogni bacheca di Facebook.

Per quanto all’origine della condivisione spesso ci sia il desiderio di denunciare atti vili o situazioni in cui versano alcuni paesi, non è detto che sia lecito pubblicare fotogrammi di ogni genere. Poiché non vi è un sistema di censura adeguato, non si può far nulla per evitare che tutta questa violenza arrivi a noi, in modo immediato. Solo dopo aver visto l’immagine “condannata”, l’utente può decidere di segnalarla per farla rimuovere.

La violenza sui social, trasmessa spesso attraverso le fotografie, ancora non è un argomento che ha la considerazione che merita e che, proprio per la sua istantaneità e assenza di un ordinamento specifico, andrebbe affrontato quanto prima. Bisognerebbe domandarsi fino a che punto possa arrivare la libertà della rete. Il desiderio di descrivere gli eventi in modo reale, senza oscurare nessun dettaglio, deve fare i conti con la sensibilità e suscettibilità altrui. Non tutti vogliono avere la visuale completa del luogo di un incidente, vedere il sangue di un ferimento, un cadavere o i lividi di un malmenato. E lo stesso utente, in assenza di un controllo a priori, non dovrebbe varcare quel limite tra ciò che si può condividere e ciò che sarebbe opportuno oscurare.

L’essere umano, per sua natura, è attirato dalla tragicità degli eventi e così anche dalle foto che li descrivono. I media tradizionali, infatti, si sono serviti e, spesso continuano a farlo, di questa “voglia di macabro”, mandando in onda o divulgando, immagini di ogni tipo, per ottenere più audience o vendere più copie di giornale. E proprio per evitare che televisioni e giornali pubblichino e trasmettano qualsiasi cosa, con lo scopo di perseguire i propri fini economici, sono nate negli anni normative che regolano ciò che è concesso e ciò che è proibito, per non ledere la sensibilità del pubblico. Per i media, quindi, esiste un controllo che verifica il rispetto della legge e sono previste sanzioni qualora questa, non sia rispettata.

Controllo che, invece, non avvenendo a priori sui vari social network, fa sì che gli utenti siano impressionati, continuamente, da foto troppo atroci e brutali. Controllo che, visto l’enorme utilizzo da parte di un pubblico sempre più vasto e di ogni età, è diventato davvero necessario.

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