CORTE COSTITUZIONALE SUL SUICIDIO ASSISTITO. UNA SENTENZA CHE DIVIDE E SI SOSTITUISCE ALL’INERZIA DEL PARLAMENTO. LIBERTA’? CULTURA DELLA MORTE? PARLIAMONE.

Nella stessa giornata della sentenza della Corte Costituzionale sul suicidio assistito, cioè al suicidio agevolato in determinate situazioni personali delle persone richiedenti, due persone, a Roma, sono state sottratte alla morte mentre stavano per suicidarsi. Segno che l’istinnto a preservare la vita è più forte di ogni cosa. Sono due fatti di straordinaria sofferenza e di ordinaria umanità che ci sono stati consegnati dalla cronaca.

Il suicidio assistito entra nell’ordinamento italiano. Non con una legge del Parlamento, ma con una sentenza della Consulta. “La Corte – si legge in un comunicato diffuso mercoledi scorso – ha ritenuto non punibile ai sensi dell’articolo 580 del codice penale, a determinate condizioni, chi agevola l’esecuzione del proposito di suicidio, autonomamente e liberamente formatosi, di un paziente tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetto da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche e psicologiche che egli reputa intollerabili ma pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli”. La corte Costituzionale doveva stabilire se fosse reato, come prevede l’articolo 580 del codice penale, aiutare  ad andarsene una persona malata che non ritiene più sopportabile e dignitoso vivere.  Già l’anno scorso la Consulta aveva segnalato l’incostituzionalità della norma che parificava l’istigazione al suicidio con l’aiuto. Undici mesi fa i giudici, che avevano chiesto al parlamento di legiferare (avevano dato tempo fino al 24 settembre, senza  alcun risultato),  avevano stabilito alcuni punti fondamentli che sono stati alla base della decisione.

Sul suicidio assistito la Consulta prevede in quali casi e con quali procedure c’è la non punibilità: volontà cosciente, patologia irreversibile, sostegni vitali, sofferenze fisiche e psicologiche intollerabili.

Per molti la Corte Costituzionale ha fatto ricorso a quel “supplemento di saggezza” che Papa Francesco (nel Novembre 2017) aveva raccomandato come virtù indispensabile per trattare con la necessaria delicatezza le complesse problematiche relative al “fine vita”.

Arriva, però, lo sconcerto dei Vescovi italiani che attraverso la loro Conferenza Episcopale dichiarano:”“Si può e si deve respingere la tentazione – indotta anche da mutamenti legislativi – di usare la medicina per assecondare una possibile volontà di morte del malato, fornendo assistenza al suicidio o causandone direttamente la morte con l’eutanasia”.
I Vescovi italiani si ritrovano unanimi nel rilanciare queste parole di Papa Francesco. In questa luce esprimono il loro sconcerto e la loro distanza da quanto comunicato dalla Corte Costituzionale.
La preoccupazione maggiore è relativa soprattutto alla spinta culturale implicita che può derivarne per i soggetti sofferenti a ritenere che chiedere di porre fine alla propria esistenza sia una scelta di dignità.
I Vescovi confermano e rilanciano l’impegno di prossimità e di accompagnamento della Chiesa nei confronti di tutti i malati.
Si attendono che il passaggio parlamentare riconosca nel massimo grado possibile tali valori, anche tutelando gli operatori sanitari con la libertà di scelta.

La sentenza non apre i cancelli ma indica sicuramente delle situazioni in cui l’assistenza al suicidio non può essere punita. Ricordiamoci l’art.2 della nostra Costituzione che mette al centro la persona umana “richiedendo a tutti  i consociati i doveri inderogabili di solidarietà.” Voglio anche ricordare che nel caso all’esame(detto Dj Fabio), la persona era un disabile grave e non un malato terminale.

 

La Corte non solo apre al suicidio assistito, ma prevede pure la sua medicalizzazione. I medici hanno già fatto sapere che si dovesse avviare formalmente la procedura del suicidio assistito, essendone responsabile, sia un pubblico ufficiale rappresentante dello Stato e non un medico.

La Consulta, secondo me, si doveva limitare a fare come in altre occasioni,un invito al Parlamento a riesaminare la legge, ma senza spingersi a tracciare una disciplina specifica. Non poteva e non doveva farlo. E’ un ruolo che spetta al legislatore. E’ anomalo un pronunciamento così forte.

Sull’argomento non mi piacciono nè i coretti entusiasti subito intonati in nome dalla libertà personale, la santa laica libertà enfatizzati da molti, nè la depressione di quelli che pensano che sull’argomento non ci sia più niente da fare. Io non penso che bisogna arrivare per tante vie, etiche, sociali e politiche, all’idea che togliersi la vita sia una possibilità buona, una scelta di dignità e soprattutto che chi ti aiuta sia un misericordioso benefattore delle tue voontà.

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