LA CARITA’ NON DEVE ESSERE SOLO PATERNA E VERTICALE, MA FRATERNA ED ORIZZONTALE. I POVERI, LA CHIESA, LO STATO.

Anche in questa calda estate insieme alle migliaia di ettari di bosco del nostro Paese andati un fumo, sembrano andare in fumo anche i più banali principi di umanità e civiltà che costituiscono i fondamenti del nostro vivere civile. Ripartiamo dall’ovvio. I poveri e i migranti sono persone. E sono un invito pressante a percorrere insieme un cammino, accogliere e integrare, accogliere e liberare. Insomma i diritti dei deboli non sono mai diritti deboli.
Con queste premesse, spero senza annoiare, vorrei riprendere una discussione aperta sul quotidiano Metropolis dal direttore partendo da una foto che scrive giustamente lui «urla e ci tocca il cuore». Un povero abituale sotto il colonnato della Basilica di Pompei, che interroga, che denuncia. Un povero che dà lezione di carità oltre che implorare la carità.
Credo una giusta riflessione nei contenuti, un pò meno nei toni, ma equilibrata, che invoca un ruolo della Chiesa ancora più profetico.
Il direttore sembra chiedere alla Chiesa: ma quale fraternità sull’insegnamento di Bartolo Longo vivete in concreto nel Santuario? Una solidarietà concreta e strutturata, senza chiusure, o solo assistenza? La prospettiva «ponti e non muri» che d’altra parte Papa Francesco stesso ha più volte evidenziato nella viva speranza che sia «una Chiesa povera e per i poveri», dei pastori che sentono l’odore delle loro pecore, a far vincere paure e regressioni per molti credenti. Insomma quel «povero istituzionalizzato della Basilica» è un segnale per mobilitare ogni energia per eliminare nel nostro Paese i muri di divisione e costruire ponti di fraternità vera e autentica.
Il direttore insiste molto sul ruolo che la Chiesa, vista la sua Missione, deve avere per costruire percorsi di solidarietà. Voglio però ricordargli, con affetto, la dimensione solidaristica della nostra Carta Costituzionale, dove ci sono due parole chiave: solidarietà ed uguaglianza. Lo Stato sociale, che dà corpo al principio di solidarietà, è un pilastro del modello sociale italiano ed europeo. Quindi la domanda di fronte alle povertà, anche quella educativa, e all’ingiustizie, è: dov’è lo Stato? Dove sono i Comuni? Dove solo le Istituzioni ai vari livelli?
Denunciando, recensendoli o solo ascoltandoli, appare chiaramente che i poveri, non sono soltanto «bisogni» a cui rispondere, ma sono «persone» a cui non solo stiamo negando un futuro, in casa loro, ma a cui stiamo negando la dignità. Disfarsi di questi concetti e valori o delegarli solo alla Chiesa vuol dire rinunciare a lottare contro la povertà e le diseguaglianze e non voler attuare politiche redistributive, basate sulla solidarietà.
Il potere del «pulpito mediatico» ricorda il Pontificio Santuario in una nota di risposta non risolve, non consola, ed aggiunge una lunga lista di opere di carità attuate dal Santuario e tentativi di risolvere alla radice il problema del povero senza fissa dimora.
Credo che la carità non debba essere solo «paterna o verticale», ma anche fraterna ed orizzontale. Chiarezza nell’affermazione dei valori e coinvolgimento forte nell’assicurare le condizioni di realizzazione dei valori stessi. Dentro la crisi sociale ed economica la speranza cristiana che è amore prima di tutto, deve essere denuncia e condivisone. La nuova carità sarà, come il lavoro, “Con”. Scegliere il paradigma del «con» richiede di non sfuggire al «perché» delle cose, delle povertà e delle diseguaglianze, e interrogarsi sul valore del «cosa» e del «come fare». Questo è costruire il bene comune.
Per andare tutti insieme oltre le mura dell’indifferenza servono una foto e un editoriale di un direttore di giornale, entrambi possono alimentare domande giuste, raddrizzare sentieri, far vivere la coerenza ed aiutare a trovare il giusto equilibrio tra libertà e solidarietà.

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