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Sul tema delle riforme che cosa è successo nel Pd

“La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”, questo recita il primo articolo della Costituzione italiana. Il potere dunque risiede interamente nel popolo italiano

a cui la Costituzione assegna forme e strumenti perché possa concretamente esercitarlo, lo strumento principe, ovviamente, sono le elezioni. Non si tratta di una dissertazione sulla Costituzione, ma una premessa necessaria ad una riflessione sulla necessità delle riforme proposte dal Partito democratico in questi mesi.

Il popolo sovrano ha infatti selezionato e premiato l’unica forza che da mesi si pone concretamente a favore della riforma del Senato, elettorale, del lavoro, etc… Le altre forze hanno avuto un approccio o ambiguo, come nel caso di Forza Italia, o di forte contrasto, come nel caso del Movimento 5 Stelle. Quale che fosse l’atteggiamento sono state punite dagli elettori. Alla luce del voto, quindi, la volontà della maggioranza è chiara, così come il mandato che ha ricevuto questo Governo.

Matteo Renzi e la sua squadra, ma con loro tutti noi parlamentari del Pd, sopravvivono se tengono fede alle promesse fatte sulle riforme, in particolare, io credo, per quanto riguarda il Senato e la legge elettorale, molto attese e da troppo tempo. In alcuni casi queste riforme sono state attaccate perché “non  economiche” e quindi non in grado di incidere sulla crisi. Ciò è falso, perché le aspettative ricoprono un ruolo molto importante sia nella macro che nella microeconomia. L’Italia ha bisogno soprattutto di credibilità, per creare fiducia nei mercati finanziari e per tranquillizzare le aziende. Detto in altri termini, se un Paese dice di voler abolire le province e poi le abolisce effettivamente (pur in modo parziale, in attesa della riforma costituzionale), sarà un Paese credibile anche quando prometterà di riformare il lavoro o la giustizia. Generare più certezza, dopo decenni di promesse rimaste su carta, è forse la sfida per eccellenza di questo governo e, al momento, è una sfida che l’Italia sta vincendo.

Nei giorni successivi al voto i giornali si sono concentrati sulle presunte discordie interne al Pd, sport nazionale per molti giornalisti. È vero che nel Partito democratico sono presenti posizioni diverse, che a volte sembrano inconciliabili, ma è altresì vero che siamo l’unico partito in Italia ad avere gli strumenti necessari per gestire le differenze e ricomprenderle in un unico grande disegno politico progressista.

Sulle riforme quindi ci si adopererà come sempre.

È naturale che ci siano differenze ed è pure garanzia per tutti, perché assicurano un dialogo interno pregno di arricchimento per tutti. Ciò che è unico è la direzione. Ecco il motivo della premessa, il Pd ha ricevuto il mandato di fare le riforme che servono all’Italia, l’ha ricevuto dal popolo sovrano e nessuno nel nostro partito si tirerà indietro, per questo sono fiduciosa sul fatto che troveremo la giusta sintesi. La base proposta dal Ministro Boschi è molto buona, può essere migliorata per quanto riguarda le autonomie locali, per avvicinarsi al modello dei Lander tedeschi, ma come testo iniziale è un ottimo punto di partenza. Altre modifiche, che non snaturino la riforma, sono possibili, a patto che trovino il favore di tutti i partecipanti al tavolo dei negoziati, per non rischiare di mandare a mare tutto.

In definitiva, sono molto ottimista, per due motivi. Il primo è che va riconosciuto a Matteo Renzi di aver portato un’aria nuova dentro il partito che si è estesa a tutti grazie alla consacrazione elettorale. Non è mia intenzione saltare sul carro, anche se al massimo potrei essere accusata di esserci saltata nel momento più duro, quando anche molti renziani della prima ora ne prendevano le distanze, ma al premier vanno riconosciute delle qualità di gestione della situazione oggettive. Nonostante qualche suo eccesso, non lo si può certo paragonare a Berlusconi, né tanto meno ad Andreotti o Craxi. I suoi modelli sono Obama o Blair, leader carismatici capaci di fare scudo al partito e accentrare l’attenzione su di sé quel tanto da permettere un lavoro con maggiore tranquillità. Oggi noi tutti respiriamo l’aria di ottimismo, così ben descritta dall’hashtag “la volta buona”.

Il secondo motivo dipende dal Movimento 5 Stelle. L’atteggiamento attuale è stato bocciato e ora devono sedersi al tavolo, riconoscerci come forza dal grande valore democratico e parlare delle riforme con noi. Se, come dicono, sono solo portavoce del popolo, il 40% di questo popolo li ha chiesto di uscire dal freezer e mettersi a lavorare per il bene comune. Ben inteso, si sono dimostrati interlocutori poco credibili e instabili, la mano tesa del Pd è un enorme credito di fiducia che dovranno dimostrare di meritare. Nessuno chiede loro di rinunciare alla propria identità e ad un’opposizione fiera e costruttiva, ma le trattative non potranno andare avanti sulla base del “o fate come diciamo noi o siete mafiosi, corrotti, ladri, etc…”. Devono accettare che c’è già un lavoro svolto senza di loro, perché chiamatisi fuori e sulla base di questo si proseguirà.

In ogni caso, il treno delle riforme è partito, questa è l’ultima stazione in cui tutte le forze possono salire a bordo, chi preferirà starsene comodo in sala d’attesa lo vedrà arrivare all’arrivo senza il proprio contributo, a maggior gloria di chi ha scelto la difficile via del tentare.

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