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Alluvione Solofra: la denuncia di Legambiente

E’ stato solo un caso se il disastro di lunedì scorso nel solofrano non si è trasformato in tragedia, ed è stato solo un caso se gli opifici della città della concia, già in affanno per la crisi economica, non hanno subito danni rilevanti. Il bollettino della tempesta d’acqua e fango che il 1 settembre si è abbattuta su Solofra e Montoro in Irpinia è ancora tutto da stilare, ma per chi da anni è impegnato nella tutela dell’ambiente in quell’area quanto è accaduto non meraviglia. Era successo agli inizi del 1800 quando persero la vita 37 persone, nel 1852 e – di recente – nel 2010 e 2011 fino ai fatti di lunedì scorso.

“Negli anni l’uomo ha costruito case nei luoghi poi individuati come zone rosse (Piano per l’Assetto Idrogeologico dell’ex Autorità di Bacino del Sarno, e Piano Territoriale Provinciale di Avellino, ndr)  a rischio, e anche se per molto tempo non è più successo nulla, la poca manutenzione delle montagne, i tagli di alberi a monte, i valloni montani ostruiti da detriti e dighe di tronchi accumulatisi e le piogge abbondanti hanno causato tutto ciò – denuncia il Circolo Volontario Legambiente  “Soli offerens” di Solofra – Da troppo tempo ormai sottolineiamo che l’acqua non ha più la possibilità di sfogare in casi di piogge eccezionali; la zona è stata così abusata, urbanizzata, cementificata e trasformata che i naturali deflussi d’acqua sono spariti o sono semplicemente diventati delle piccole cunette che costeggiano la strada, o piccolissimi canali che passano sotto le strade che da valloni ampi oggi sono diventati scatole di cemento o ancor peggio tubi piccoli e tombati”. “E’ il momento – spiegano i volontari solofrani –  di rimboccarsi le maniche, non solo per spalare fango, ma assumersi l’impegno politico e amministrativo di risolvere l’annosa questione coinvolgendo autorità ed enti preposti, associazioni e professionisti per un serio progetto di messa in sicurezza e soluzioni alternative per dare di nuovo vita ai valloni spariti e assicurare le case, che ormai possiamo considerare in costante pericolo”.

Il caso solofrano è speculare ad altre – troppe – realtà dello Stivale dove ogni anno si spende circa 1 miliardo di euro per riparare i danni provocati dal dissesto idrogeologico e poco più di 100 milioni per prevenirli. “Il rischio frane e alluvioni – ricorda il Circolo Legambiente – interessa tutto il Paese con 6.633 comuni e oltre 6 milioni di cittadini in aree a rischio idrogeologico”. L’associazione con Ance, Architetti e Geologi chiede da tempo al Governo, anche attraverso una petizione on line lanciata lo scorso giugno, di liberare le risorse già stanziate e non spese e far partire un programma nazionale di manutenzione e prevenzione.  Una richiesta parzialmente accolta, anche se le risorse previste appaiono ancora troppo esigue, dal decreto Sblocca Italia presentato in CdM nei giorni scorsi che contempla lo sblocco di 2,3 miliardi di euro (la metà dei quali fondi UE) per interventi contro il dissesto idrogeologico, le bonifiche e la messa in sicurezza di siti contaminati, e di altri 110 milioni di euro per sistemare i fiumi nelle aree metropolitane già colpite da alluvioni.

 

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