Officina delle idee

Cosa è il Natale? E quale valore ha la solidarietà? A Dentro i fatti, in onda su Televomero e condotto da Samuele Ciambriello, ne hanno discusso Don Franco Esposito, Lidia Ronghi, suor Giovanna Pantaleo e Benedetta Ferone

Puntata speciale di “Dentro i fatti”, condotta da Samuele Ciambriello ed in onda sulle frequenze di Televomero questa sera alle 19 ed alle 22,40, anche in streaming all’indirizzo www.televomero.it. Una puntata dedicata agli ultimi, agli emarginati, ai sofferenti. Ospiti del nostro direttore, sono stati don Franco Esposito, cappellano del carcere di Poggioreale e responsabile per la diocesi di Napoli della Pastorale Carceraria, Lidia Ronghi, presidente della Cooperativa “Il Quadrifoglio”, suor Giovanna Pantaleo, dell’ordine delle figlie della carità di San Vincenzo, e Benedetta Ferone, rappresentante della Comunità di Sant’Egidio.

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Riflettendo sul valore della misericordia, anche a seguito della recente apertura della Porta Santa da parte di Papa Francesco,  il dibattito si è sviluppato seguendo due temi: il valore del Natale e la reale importanza della solidarietà, una solidarietà non fine a se stessa.

Il Natale, quest’anno, per noi della comunità di Sant’Egidio, si connota come il Natale della Misericordia – ha dichiarato la Ferone – . E’ un mistero d’amore ma diventa carne e concretezza nella fraternità con tanti poveri che non hanno un posto dove andare, ragion per cui allargheremo le tante tavole nei tanti pranzi e nelle tante feste. E’ un mistero che si fa carne, come quel bambino che torna a nascere, come tanti profughi che accoglieremo, assieme ai bambini ed ai senza fissa dimora, in una tavola che abbraccia tutto il mondo. Natale è dunque un mistero che prende vita da quel pane che spezzeremo tutti insieme”. 

 

Betlemme è il simbolo di tutto ciò che è insignificante davanti agli occhi degli uomini, di tutto ciò che non conta – ha affermato don Franco Esposito – . Sono però proprio quelli che non contano, che sono i primi davanti a Dio. Sono quelli che non contano che fanno la vera storia dell’umanità. Quella storia scritta dai grandi e dai potenti di questo mondo, non è la storia che il Signore invece scrive attraverso i poveri, gli ultimi, quelli che non contano, che fanno la storia della salvezza. In carcere, abbiamo realizzato quest’anno un presepe tutto particolare. Abbiamo ricostruito una cella ed in questa cella abbiamo messo la famiglia di Nazareth, con il bambino Gesù che nasce su un letto di una cuccetta della cella. Questo per significare proprio quello che Papa Francesco ha sottolineato in questo Natale di quest’anno: quel luogo che è il carcere, un luogo di reclusione, di emarginazione, un luogo anticristiano, antiumano, si possa trasformare da luogo di reclusione a luogo di redenzione. La porta della cella, diventi dunque la porta Santa”. 

Sulla stessa lunghezza d’onda, anche suor Giovanna Pantaleo.

Natale è certamente un mistero d’amore dove un Dio si incarna nella fragilità – ha dichiarato – . Questa fragilità viene assunta da questo bambino che noi ritroviamo in una grotta, e dove Dio decide di vivere un’avventura d’amore. Questa avventura prevede sicuramente disagio, pregiudizio, paura. Questo Dio che viene ci dice di non avere paura, di non temere, perchè questa avventura la viviamo assieme, la viviamo nella disponiblità, nella solidarietà, nell’accoglienza della fragilità. Nel nostro caso. come figlie di San Vincenzo, noi ci occupiamo di persone affette da HIV, da AIDS. Ci auguriamo quindi, che questo mistero d’amore, entri nelle nostre case, nelle nostra famiglie, ma soprattutto nei nostri cuori, per poter accogliere questi fratelli che sono segnati dal pregiudizio della gente”.

Pregiudizio che, spesso e volentieri, accompagna sempre chi crede di avere ragione.

Natale per noi che operiamo nei nostri centri di Miano, Bagnoli, Fuorigrotta, Cavalleggeri, ma anche nelle carceri, è un momento di grande fervore, perchè è una festa assai sentita, durante la quale riusciamo a coinvolgere anche i familiari delle persone che assistiamo. Quest’anno a Miano, ad esempio, abbiamo realizzato anche con il contributo di altre associazioni, per il terzo anno di fila, il Presepe vivente. Miano, come è noto, è un quartiere assai difficile. Un evento importante, che ha coinvolto genitori e bambini dell’intera comunità. Dunque, per tutta una serie di motivi, credo che al di là del significato commerciale che ha assunto negli ultimi anni, il Natale sia ancora una festa religiosa, sentita come unione, l’unione delle famiglie che si ritrovano a festeggiare il loro ritrovarsi. E’ un atto in cui padre, madre e figli, che raramente sono insieme, si ritrovano. Quest’anno, nel centro che gestiamo a Miano, nella villa confiscata alla camorra, abbiamo deciso di fare un unico grande albero, dove ogni persona ha portato una pallina. Ne è venuta fuori una bellissima esplosione di colori. Ritengo quindi che il Natale rappresenti non solo la misericordia, ma anche l’unione e l’aggregazione, dove tutti si rispecchiano nell’altro, nel prossimo, nel proprio vicino”. 

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La speranza ed il perdono responsabile, devono essere coniugati anche con la giustizia. A questo proposito, don Franco Esposito non ha avuto dubbi.

Gesù ci ricorda nel Vangelo che se la nostra giustizia non supera quella degli scribi e dei farisei, è una giustizia che non costruisce il regno, cioè il mondo dell’amore. Stiamo cercando di portare avanti una discussione sul senso della giustizia riparativa, che non è guardare al reato in senso stretto e far pagare a colui che ha commesso il reato una pena, pensando che così si sia risolto il problema. In realtà la giustizia riparativa impegna colui che ha commesso il reato a riparare il reato, e soprattutto a incontrare la vittima del reato, che ha bisogno della riconciliazione. La giustizia così com’è oggi, è una giustizia che metti ai margini non solo il colpevole, facendogli pagare la sua pena in una struttura che non gli da la possibilità di riparare al reato stesso, ma è una giustizia che emargina anche la vittima, tagliata fuori da qualsiasi tipo di risarcimento, inteso non come quello economico, ma come quel risarcimento che nasce dall’incontro tra vittima e carnefice, laddove entrambi fanno un notevole passo in avanti, con la guarigione della ferita inflitta“.

Ma cosa è invece la solidarietà? Cosa bisogna fare realmente per poter dire di essere solidali? Il sostantivo solidarietà, è di derivazione francese ed indica una forma di impegno etico sociale, a favore di altri. Termine che indica benevolenza, comprensione, condivisione. Condivisione e comprensione, che le figlie di San Vincenzo quotidianamente, con il loro lavoro, dedicano ai malati di HIV.

La nostra è una casa famiglia, che si trova a Napoli ai Camaldoli, dove accogliamo persone affette da HIV – AIDS – ha affermato suor Giovanna Pantalone – . Accogliamo persone che in un certo senso sono rifiutate dalla società e che non trovano accoglienza presso la propria famiglia, o persone anche straniere che non hanno un luogo per vivere il tempo della malattia. Tante volte queste persone trascorrono mesi ed anni presso gli ospedali, proprio perchè mancano posti e strutture dove poterli accogliere. Chi viene da noi, oltre ad avere la garanzia e l’assicurazione dell’assistenza materiale, segue un programma per far sì che accolga la malattia, la metabolizzi e ne prenda coscienza, anche attraverso un percorso in cui si viene seguita dagli operatori e da un’equipe medica specializzata. Collaboriamo molto con l’ospedale Cotugno, che ci affianca nelle attività quotidiano, perchè le persone che vengono a noi, possano avere una vita migliore. Ogni giorno, noi ed i nostri ospiti, dobbiamo lottare affinchè vengano sconfitti pregiudizi e preconcetti, spesso legati ad una cattiva informazione e all’ignoranza anche sulle vie di trasmissione del virus”.

A proposito di solidarietà, anche la comunità di Sant’Egidio, ha messo e mette in cantiere una serie di iniziative per essere solidali con i più poveri, con gli ultimi, con gli emarginati.

La solidarietà per noi è il pane che si spezza e si mangia assieme – ha dichiarato Benedetta Ferone – . Il Natale è il momento in cui si confonde chi aiuta e chi è aiutato. Noi sediamo con i poveri e con i loro amici, e ci confondiamo in un unico abbraccio. Esistono tanti nuovi poveri, specie in Campania. Famiglie con figli che non riescono ad arrivare alla fine del mese, separati, disoccupati, stranieri che hanno perso il lavoro. O persone che a causa di una malattia, non riescono a far fronte a tutta una serie di spese. Gli ultimi dati forniti dall’Istat, parlavano di circa 1500 persone senza fissa dimora solo nella città di Napoli., ma nella provincia sono sicuramente di più. Natale per noi rappresenterà questa unica tavola che raggiungerà circa seimila persone, tra cui profughi e rifugiati che hanno raggiunto il nostro paese con mezzi di fortuna e tante famiglie di “nuovi poveri” a cui facevamo riferimento poco fa”. 

Spesso e volentieri, però, la povertà genera anche criminalità. La Cooperativa “Il Quadrifoglio”, presieduta da Lidia Ronghi, porta avanti tutta una serie di progetti, dove i minori vengono aiutati a crescere nella legalità.

Come cooperativa, portiamo avanti tutta una serie di progetti rivolti ai minori, che hanno come obiettivo quello di preservare le nuove generazioni e ad educarle nel rispetto della cultura della legalità.Attualmente, a Miano abbiamo quattro ragazzi “in prova” in maniera del tutto gratuita. C’è bisogno che chi di dovere, capisca che è sul territorio che avviene il cambiamento. Purtroppo, due importanti comunità campane, quali quelle di Nisida e dei Colli Aminei, che accoglievano minori che avevano commesso reati, sono state al momento sospese, creando innumerevoli disagi per noi operatori del settore. Disagio perchè con le due comunità di recupero aperte, noi operatori potevamo avere un controllo del territorio maggiore, visto e considerato che il reinserimento degli stessi, nella società e nei loro quartieri di residenza, avveniva molto più velocemente. Non bisogna dimenticare infatti, che l’accoglienza del ragazzo, prevede anche l’accoglienza della famiglia del ragazzo. C’è un po’ di sottovalutazione del problema. Ci auguriamo che chi di dovere, possa capire le nostre esigenze e i nostri bisogni”.

Liberare i minori, dunque, per educare gli adulti. E’ possibile liberarsi dalla necessità del carcere e vivere luoghi alternativi al carcere stesso?

E’ indispensabile chee oggi la politica e le istituzioni che gestiscono l’ambito penitenziario, incomincino a farsi la domanda sulla possibilità che la pena venga “pagata” in modo diverso – ha dichiarato don Franco Esposito, cappellano del carcere di Poggioreale – . Se pensiamo che l’80% dei detenuti che sconta la pena del carcere, vi ritorna nel carcere, e se pensiamo che la recidiva scende a meno del 10& per quei detenuti che scontano la loro pena in strutture alternative e case di accoglienza come la struttura “Liberi di Volare”, della diocesi di Napoli, credo che questo testimoni come il carcere sia un inganno per la domanda di sicurezza giusta che la nostra società pone ai governanti. Credo che sia importante e fondamentale cominciare a pensare ad un modo diverso di scontare la pena. C’è bisogno che questo diventi però programma politico. Un detenuto, in carcere, costa allo Stato ed alla società, circa 200 euro al giorno. Quando il detenuto viene affidato a strutture alternative al carcere, lo Stato se ne disinteressa altamente, venendo meno al principio sancito dalla Costituzione dove si afferma che il detenuto ha diritto ad avere una rieducazione ed il reinserimento nella società. Questo carcere, così come è, nega proprio questo diritto”. 

Durante la puntata, è stata trasmessa l’intervista realizzata con l’arcivescovo di Napoli, Crescenzio Sepe, che ha voluto fare i suoi auguri alla città di Napoli.

In chiusura, c’è stata poi la testimonianza di una giovane operatrice, Miriana Riccio, che da circa undici anni, è al servizio dei più sfortunati, che risiedono nella casa di accoglienza, “Diario Sforza” delle figlie della carità.

Molti mi chiedono se abbia paura ad operare nella nostra struttura – ha dichiarato la Riccio – . La mia unica paura, in realtà, era legata all’epoca in cui ho iniziato, alla mia inadeguatezza. Le persone affette da HIV, sono persone innanzitutto, che hanno bisogno di tanto affetto e di cure. Non ho paura di lavorare  con “i miei ragazzi”, così come amo definirli. Non ho paura, perchè l’HIV non si trasmette con una stretta di mano, ma per via ematica. Da qui nasce lo slogan “Abbracciami, ho bisogno di te”. E’ lo slogan di un progetto realizzato in collaborazione con la Caritas Nazionale, messo in atto dalla Caritas di Napoli, che ci ha permesso di entrare nelle scuole e grazie al quale abbiamo realizzato delle simpatiche magliette, che ci tengo a donare a voi, stringendoci in un simbolico abbraccio. L’HIV è un punto debole della nostra società. La persona affetta da HIV è spesso e volentieri una persona emarginata, che ha solo tanto bisogno di affetto“.

 

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