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Cristiani e politica, il «dito» di Francesco tra Chiesa e partiti

Giovedì scorso 30 aprile, nell’incontro con le Comunità di vita cristiana, interrogato dal giovane Gianni sulla necessità dell’impegno in politica per i cristiani Francesco risponde così: «Credo che (a) questa domanda che tu hai fatto risponderebbe molto meglio di me padre Bartolomeo Sorge – non so se è qui: no, non l’ho visto… Lui è stato uno bravo, eh? Lui è un gesuita che ha aperto la strada in questo campo della politica. Ma, si sente: “Noi dobbiamo fondare un partito cattolico!”: quella non è la strada. La Chiesa è la comunità dei cristiani che adora il Padre, va sulla strada del Figlio e riceve il dono dello Spirito Santo. Non è un partito politico. “No, non diciamo partito, ma… un partito solo dei cattolici”: non serve e non avrà capacità convocatorie, perché farà quello per cui non è stato chiamato. “Ma, un cattolico può fare politica?” – “Deve!” – “Ma un cattolico può immischiarsi in politica?” – “Deve!”. Il Beato Paolo VI, se non sbaglio, ha detto che la politica è una delle forme più alte della carità, perché cerca il bene comune».

A domanda risponde con una chiarezza che appare sorprendente, e per tante ragioni da noi non scontata.

Il giorno dopo Avvenire, in prima pagina annuncia la cosa con questo titolo: «Francesco: i cattolici facciano politica, non con loro partito». Oggi forse non pare una novità, dal momento che quel  «loro partito» da noi non esiste più, ma questo discorso fatto dal Papa è, in Italia, anche punto d’arrivo di una vicenda almeno cinquantennale fatta di lotte ideali, di difficili storie personali e collettive, di spinte purificatrici spesso re-spinte dalla stessa ufficialità ecclesiastica, e molto spesso con sofferenze ancora oggi vive.

La cosiddetta «unità politica dei cattolici» dopo aver salvato l’Italia nell’immediato dopoguerra dalla minaccia reale del «socialismo reale», il comunismo disumano dell’Urss di Stalin e successori, ha in seguito fatto pagare un prezzo molto alto alla missione della stessa Chiesa italiana, e almeno dai tempi del referendum sul divorzio (1974) e delle elezioni sia comunali che politiche a parere di molti, tra cui mi colloco volentieri, ha continuato a danneggiare la credibilità della comunità ecclesiale presso tanti uomini e donne di buona volontà. E questo fino quasi a oggi.

Per ragioni di pura coincidenza ero, con un buon numero di coppie delle Equipes Notre Dame, nell’«Aula Paolo VI» quando Francesco, giovedì scorso, ha dato quella risposta al giovane che gli aveva posto il problema. Una risposta tranquilla, e data come scontata su due fronti: la necessità dell’impegno dei cristiani in politica – «la forma più alta del servizio al bene comune», con citazione di Paolo VI stesso – e la non necessità, anzi il rifiuto di un partito cattolico o anche dei cattolici come tali…

Dunque Fede e politica, Chiesa e politica, cristiani e impegno politico… Da noi è un tema da sempre cruciale per evidenti ragioni storiche che per decenni hanno reso facile, e come naturale, una lettura del rapporto tra fede e politica legata essenzialmente a una sola parte dell’orizzonte reale della politica, e in conseguenza anche della «cultura», nel senso globale del termine. L’unità dei cattolici in politica è stata una realtà accettata, difesa, e anche «imposta» per decenni anche all’interno della comunità ecclesiale, con contorni oscillanti tra necessità reale e scelte di potere e di dominio interessato.

È evidente che la lettura storica deve avere registri diversi. Dopo la fine della II guerra mondiale c’era la divisione del mondo in due, con la realtà del comunismo internazionale che faceva capo all’Urss staliniana e integralmente anti-democratica e anti-religiosa, e perciò fu una necessità storica, ideale, e anche ecclesiale la scelta per la Dc allora di De Gasperi che – non andrebbe mai dimenticato – ebbe anche qualche problema con uomini di Chiesa fino ai vertici, quando dalla necessità di difesa della libertà e della democrazia in Italia rifiutò scelte che gli venivano proposte anche dai vertici della Chiesa stessa, e di uomini come La Pira, Gonella, ecc.

Ma la storia cammina, e le cose cambiano. Quella Dc che aveva salvato l’Italia dalla rovina della guerra in unità concreta con le altre forze politiche del tempo, e che poi con gli stessi criteri aveva dato all’Italia una Costituzione esemplare per tanti aspetti delicati e validi ancora e sempre fino ad oggi, cambiò molto e non sempre in meglio dal punto di vista dell’etica non solo personale, ma anche politica, economica, e della reale difesa della solidarietà sociale…Molti cattolici autenticamente tali pensarono che non era più necessaria l’adesione al partito unico dei cattolici italiani, pur sostenuto da uomini di Chiesa non sempre capaci di vedere lontano. Ci fu anche la primavera giovannea, e poi il Concilio, con la Gaudium et Spes, con la dichiarazione sulla libertà di coscienza e di religione, e molte cose cambiarono anche in tema di rapporti tra fede e realtà politica, e anche partitica…

Segni evidenti della nuova realtà, che metteva in questione l’impegno dei cattolici come tali in un solo partito cominciarono a manifestarsi ben presto. Prima con l’adesione all’Alleanza atlantica (la Nato) e poi con la fine dell’azione di De Gasperi, tra i cattolici si fece strada la coscienza che la Dc, quella Dc allora quasi onnipotente e non sempre esemplare da molti punti di vista fosse ancora e di necessità all’inizio degli anni ’70.

Si può dire che il segnale più chiaro della novità della situazione della nuova coscienza diffusa anche tra i cattolici fu la vicenda del referendum sul divorzio, già approvato nel 1970 con dolorose ripercussioni anche nella Chiesa, tra Santa Sede e Cei e dintorni, e vari segnali di ricerca di nuove strade anche in politica. Echi del ‘68 anche cristiano e cattolico, comunità di base e contestazioni ecclesiali, l’esempio e l’influenza culturale e personale di uomini di Chiesa come Mazzolari, Milani, Balducci, Turoldo e altri ebbero peso con le loro scelte pubbliche, spesso non solo non condivise dall’ufficialità ecclesiale, ma neppure rettamente comprese…

Inutile, qui, ricordare la vicenda complessa della presenza di cattolici dichiarati, e riconosciuti come tali nelle liste elettorali del Pci del tempo, quando ci fu la proposta del cosiddetto “compromesso storico”, alleanza politica che supponeva come implicite, anche se non sempre avvertite come tali, distinzioni attese da tempo tra ideologie che rimangono sempre uguali e movimenti storici che cambiano, talora anche in meglio. Questa era stata, del resto, la prospettiva della “Pacem in Terris” (1963) di Papa Giovanni, che aveva aperto le finestre della Chiesa al vento in arrivo del Vaticano II…

Né Chiesa-partito, né partito-chiesa. Era – o sarebbe stato? – necessario da allora percepire la differenza essenziale che corre, e deve correre, tra la realtà di una Chiesa e quella di un partito…Senza questa distinzione la confusione porta necessariamente allo scontro e alla divisione: nella Chiesa ad una diaspora dolorosa, nei partiti alla ideologizzazione paralizzante…

Se un “partito” si comporta come una “chiesa”, e una “chiesa” si comporta come un partito lo scontro, la rottura interna ed esterna diventano inevitabili… Ecco che da allora sarebbero servite quelle distinzioni che oggi sono come la base anche delle parole di Francesco: impegno in politica dei cattolici, sì, ma senza un partito che si faccia identificare con “la” Chiesa.

Non è solo un gioco di parole, ma la lotta di decenni avrebbe dovuto essere, ed è stata solo in parte, quella per avere una Chiesa che non fosse un partito, e dall’altra parte dei partiti che non fossero come delle “chiese”.

In un partito non può e non deve esserci una ideologia totalizzante che unifichi la realtà sotto la lettura unica di una sola “cultura”, filosofia, ideologia, “visione del mondo e della vita”: un partito così diventa di necessità una “chiesa” di fedeli che rifiutano gli infedeli e si chiudono in una setta in astratto politica, economica, sociale, ma nel fondo del tutto antropologica e di visione unica…Questo è un “partito-chiesa”, chiuso ad ogni cultura e idea diversa dall’ortodossia ideologica imposta…

Non va dimenticato che proprio a metà degli anni ’70 nel Pci di Berlinguer si fece strada l’idea del rifiuto dell’ateismo programmatico e della visione immanentista del materialismo marxista, e che ad inizio del 1978, dopo lo scambio di “lettere” illustri tra monsignor Bettazzi e Berlinguer, nel Pci fu la rinuncia ufficiale, all’interno degli Statuti, all’obbligo della adesione alla filosofia marxista-leninista fino allora obbligatoria.

La conseguenza di questa distinzione è duplice. In un partito davvero partito, e non “chiesa”, ideologie e culture diverse possono convivere in pace, ispirazioni ideali religiose o non religiose sono accolte alla pari, e l’unità è richiesta nelle scelte operative e concrete. Se in nome di una sola visione della vita si vuole imporre a tutti una ideologia opposta alla fede e alla scelta di coscienza, la realtà del partito è tradita alla radice, ed esso pretende di essere il tutto, e non “parte”…

In una Chiesa che non sia partito accade e deve accadere l’opposto: ad una unità piena di ispirazione che viene dall’alto della fede e della dottrina di sempre, può accostarsi una concretezza di scelte diverse dove non sono direttamente in questione proprio la fede e la dottrina di sempre…Se in nome della fede di sempre si vuole imporre una prassi che è invece scelta di parte e di potere, allora la Chiesa diventa come un partito, e tradisce la missione di salvezza e di annuncio del Regno.

Unità nei principi e libertà di scelte nelle applicazioni concrete: è realtà di una Chiesa non partito.

Diversità nei principi ispiratori supremi di cultura e di idealità e unità nell’azione concreta e nelle scelte di immediata applicazione pratica: è realtà di un partito che non sia Chiesa…

Tenere dunque, con attenzione, alla difesa di una Chiesa che non sia partito, e se ci si impegna in politica tenere anche alla difesa di un partito che non sia una Chiesa: pare evidente, ma è soprattutto importante…

Se si vuole ripensare, in questa luce, alla storia difficile e complessa della Chiesa in Italia, dagli anni del Concilio in poi, forse ne viene fuori una serie di pensieri che oggi possono servire anche concretamente per esempio in vista del prossimo Convegno Ecclesiale di Firenze.

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