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Detenuti a Italia’s Got Talent: la rieducazione fa paura

Le pene devono tendere alla rieducazione del condannato: è così stabilito dall’articolo 27 della nostra Costituzione, che pone quindi come fine della pena-che nel nostro ordinamento per mancanza di volontà politica in tal senso è diventata quasi unicamente il carcere- la rieducazione e la risocializzazione del condannato. I tre pilastri su cui si fonda la rieducazione sono senza dubbio l’istruzione, la formazione e il lavoro, diritti che devono essere garantiti al detenuto in base a precise norme dell’ordinamento penitenziario. Eppure un’attività che rientra a pieno titolo tra queste e che ha coinvolto 5 reclusi della casa circondariale di Marassi di Genova, ha destato moltissimo scalpore e polemiche. Si tratta di cinque membri della compagnia teatrale “Scatenati” interna al penitenziario che si sono recati la scorsa settimana a Roma per girare una puntata di Italia’s Got Talent, durante la quale i cinque attori sono riusciti ad emozionare i giudici, mettendo in scena una rappresentazione tipica della vita di un detenuto: la separazione dagli affetti e le lettere ricevute da una compagna lasciata fuori.

Il segretario ligure del sindacato di polizia penitenziaria UILPA Fabio Pagani ha tuonato: “Il nostro compito non è scoprire talenti ma garantire la sicurezza”. E ha proseguito lamentandosi del fatto che gli agenti abbiano dovuto effettuare una trasferta in orari solitamente non consentiti e durante un’emergenza pandemica, mettendo a repentaglio la propria salute. In realtà la direttrice della Casa circondariale di Genova ha subito precisato che tutti i trasferimenti sono stati effettuati in sicurezza e che soprattutto si tratta di una parte del percorso trattamentale dovuto in base alla Costituzione a tutti i detenuti, che non può essere sospeso neppure durante l’emergenza sanitaria in corso. I cinque detenuti, infatti, svolgono da anni attività teatrali gestite dall’Associazione Teatro Necessario all’interno del penitenziario, e hanno diritto ad usufruire di tutte le attività risocializzanti a loro disposizione, qualunque sia il reato da essi commesso.

Non si è fatto attendere ovviamente l’intervento del Leader della Lega Matteo Salvini, che non ha perso occasione per fare becera propaganda politica. “Si è trattato di un’iniziativa scellerata e vergognosa. Il Governo investe soldi pubblici in iniziative del genere, anziché investire in divise, dotazioni e mezzi, e pagare gli straordinari agli agenti”. Ha proseguito, poi, promettendo un’interrogazione parlamentare della Lega al Ministro della Giustizia Bonafede. Al di là del fatto che gran parte dei costi sono stati sostenuti dall’associazione che gestisce i laboratori teatrali, è chiaro che il problema non siano i soldi ma l’essenza stessa della pena e del carcere, che per molti rimangono sinonimo di punizione. Le spinte securitarie nel nostro Paese sono sempre più forti e la necessità di rieducare attraverso specifici trattamenti individuali cede sempre di più il passo alla voglia di vendetta e repressione.

Il ministro della Giustizia Bonafede, dal canto suo, non ha perso tempo a correre ai ripari, precisando di aver disposto accertamenti sullo svolgimento dei fatti. Innanzitutto, è facile notare come una tale solerzia non sia stata dimostrata in altre occasioni in cui il suo intervento sarebbe stato molto più necessario, ma soprattutto per un evento del genere, a rigor di logica, non dovrebbero servire giustificazioni, trattandosi di atti autorizzati non solo dalla direttrice della casa circondariale ma anche dal magistrato di sorveglianza dei detenuti. Uno di loro, infatti, ha usufruito per la trasferta di un permesso premio, gli altri quattro, invece, sono stati inseriti in un programma di lavoro all’esterno, in base all’articolo 21 dell’ordinamento penitenziario.

Ancora una volta, anziché incentivare le attività risocializzanti necessarie per un’effettiva possibilità di riscatto, si punta il dito e a fare scalpore è un carcere che funziona bene e che rieduca. A chi non crede nell’utilità, oltre che nell’umanità, di tali pratiche, basterebbe guardare un film di molti anni fa dei fratelli Taviani, che rimane profondamente attuale, Cesare deve morire, per ricordarsi che coloro che sono reclusi sono innanzitutto delle persone, e non dei mostri da chiudere in gabbia. Delle persone a cui tutti dobbiamo una seconda possibilità.

 

A cura di Giusy Santella

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