Voglio dirvi alcune cose, sicuramente provvisorie e parziali, che ho capito a partire dalla mia esperienza nel privato sociale e da poco come garante campano delle persone private della liberta personale, del fenomeno sociale delle cosiddette “baby gang”, delle paranze dei bambini e in più in generale della devianza minorile. Adolescenti a metà, con un blackout cognitivo, una totale assenza di ispirazioni valoriali, incapaci di riconoscere la risonanza emotiva dei loro gesti.
La risposta che spesso la politica dà è cruda: sicurezza in carcere (dicono), senza prendere in considerazione che vi è bisogno di organizzare risposte, di prevenire, di mettere in rete più attori sociali.
A mio parere una società che giudica un minore e dopo averlo giudicato lo mette in carcere è una società malata che sta giudicando se stessa e la propria malattia.
Bisognerebbe, secondo il mio punto di vista, innanzitutto selezionarli questi minori, non farne di tutta un’erba un fascio come accade oggigiorno: ci sono quelli che evadono l’obbligo scolastico, quelli che vivono conflitti in famiglia, che vivono nel sottosviluppo economico e sociale, vittime di vuoti culturali, di diritti negati, di politiche deboli.
Ci sono, poi, i bulli che si sentono importanti e vogliono farsi notare dalla loro “comunità”; ragazzini che commettono violenze solo per affermare se stessi e marcare la propria presenza sul territorio.
Negli anni c’è stato un mutamento del reato: prima i minori venivano arrestati per piccoli furti,scippi,droga, oggi incontro ragazzi e ragazze condannati a 15/18 anni per omicidio, per rapine a mano armata, per la paranza.
Ed ora vi snocciolo un pò di cifre che possono aiutare i lettori a centrare appieno il fenomeno: a febbraio 2018, in tutta Italia, c’erano 11.916 minorenni e giovani adulti in carico ai servizi della giustizia minorile, di questi 1.430 donne. Solo in Campania il numero arrivava a 5.000 unità, sotto la diretta responsabilità della Procura presso i Tribunali per i minorenni di Napoli e di Salerno. 3.772 per indagini sociali e progetti trattamentali. I messi alla prova toccavano le 2.157 unità. Nel distretto di Napoli 2807 notizie di reato.
Gli adolescenti di oggi spesso non sanno perché compiono un reato. Vogliono tutto e subito ed hanno la morte dentro, le cose non le vogliono per noia o moda come i loro coetanei “normali”, ma perchè nella conquista mostrano il loro valore. Conoscono 50 parole e le conoscono solo in dialetto, rispetto ai loro coetanei, magari, sanno anche parlare una lingua straniera.
Può solo il carcere essere la risposta che mette tranquillità e sicurezza rispetto alla devianza ed alla microcriminalità? Si pensa davvero che abbassare l’età imputabile sia la soluzione?
Secondo il mio parere bisognerebbe, invece,in alcuni casi, sottrarre il minore ad un contesto familiare che lo spinge verso l’illegalità e farlo prima del reato.
A questi ragazzi più attori sociali possono aiutarli a percepirsi come persone in grado di mettersi in gioco, ritrovarsi, senza passare ad un livello criminale superiore. Scuole aperte di pomeriggio,educative territoriali, parrocchie accoglienti, educazione civica, strutture sportive aiutano e possono e devono essere la soluzione. Politiche sociali , educative e scolastiche di inclusione, in terra aperta, con maestri di strada, operatori di educative territoriali, assistenti sociali e figure di sostegno relazionale e familiare, per liberare i minori e renderli adulti responsabili. Sicuramente per questi adolescenti a metà un grammo di comportamento vale più di un chilo di parole.