Ciambriello:” Disagio minorile.Come prevenire i guappini di camorra? Dove investire e con chi? Il ruolo degli attori sociali.”

Oggi Napoli non è più la città degli scugnizzi e degli sciuscià. I minori che un tempo vivevano  ai limiti della legge per guadagnarsi qualcosa hanno lasciato il campo ai “guappini” di camorra, agli adolescenti a metà che senza un “senso” sparano, uccidono o delinquono. proprio per questa particolare situazione, a Napoli, è tremendamente difficile separare la questione minorile dalla più ampia questione criminale, dalle povertà educative, culturali, economiche ed affettive.

Chi si occupa dei nostri bambini a metà che non entrano in carcere?

Anche quei bambini che si sono fatti “paranza” stanno buttando via le loro vite. Questi ragazzi hanno la morte dentro. Sono adolescenti a metà. Non hanno mai conosciuto un mondo diverso, fatto di cultura, valori, cinema, sport, aggregazione sociale. Si sentono superiori ai vecchi capi della camorra.  Vogliono tutto e subito. Qui ed ora. La morte è l’unica pena che conoscono. Se hanno deciso di uccidere, lo fanno. Sparano nel mucchio e spesso non sanno neppure usare una pistola.

Parlare di disagio, devianza e microcriminalità significa liberare i minori ed educare gli adulti. Significa investire nel sociale, nella prevenzione, nei luoghi di aggregazione e di rieducazione. Significa investire nella cultura, nella scuola, nelle scuole di comunità, nelle periferie, promuovere rete tra soggetti diversi, educatori di strada, associazioni che quotidianamente sono agenti di prossimità per i nostri ragazzi. Significa valorizzare il lavoro di tante scuola di periferie, il lavoro di tanti insegnanti che ci credono, che lottano contro la dispersione scolastica. Ci sono minori che aspettano solo di essere salvati, nelle zone rosse di una Napoli che inghiotte, ma che può anche restituire. Sono quelli che vivono in bilico, tra devianza, microcriminalità, spesso “eredità” di una cultura familiare che non dà alternative, e una fragile voglia di rivincita.

La politica, interpellando “attori sociali”, del privato sociale, del vasto e variegato mondo ecclesiale che portano avanti giornalmente l’esperienza- che spesso diventa lotta- di rieducazione sul campo, coinvolgendo attivamente i minori a rischio che vivono in pezzi di città profondamente complicati e infetti dalle piaghe della delinquenza, può poi concretamente mettere in campo progetti di inclusione e di liberazione.

Un patto educativo è stato fatto, firmato, occorre il coraggio di fare sul serio, sul campo, non nei tavoli della Prefettura! Il segreto della politica come passione è il coraggio. A noi studiosi ed operatori del privato sociale il compito, spesso impopolare, di suggerire, stimolare chi governa ai vari livelli, a progettare spazi di inclusione sociale, di lotta alla dispersione scolastica, di educative territoriali, ad investire risorse economiche e professionali, tempo, delibere, progetti e leggi. In barba a tutte le teorie, adesso i fatti.

 

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