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Facebook, WhatsApp e Instagram down: chi è il responsabile e cosa è successo (e quanti miliardi ha perso Zuckerberg)

Miliardi di utenti in tutto il mondo stamattina si sono svegliati (o sono andati a dormire, a seconda del fuso) con una bella notizia: Facebook e tutte le sue proprietà – WhatsApp, Instagram e Oculus – sono tornati a funzionare dopo sette ore di blackout totale che ha mandato nel panico il pianeta, rendendo ancor di più lapalissiano il legame ormai imprescindibile tra le persone e le tecnologie indispensabili per comunicare. Zuckerberg si è scusato pubblicamente con un post («Facebook, Instagram, WhatsApp e Messenger stanno tornando online. Scusate per l’interruzione di oggi, so quanto vi affidiate ai nostri servizi per rimanere in contatto con le persone a cui tenete») ma l’impatto del “down” è stato mondiale.

La spiegazione: cosa è successo veramente

Tutto è cominciato intorno alle 17.35 italiane circa, dopo un errore interno commesso durante un cambiamento di configurazione interno a Facebook. Cosa è successo di fatto? Internet in quel momento non sapeva più dove “trovare” letteralmente Facebook in rete, come se fosse senza mappa e senza conoscere la strada per raggiungerlo.

Il New York Times ha raccolto la spiegazione di John Graham-Cumming, chief technology officer di Cloudflare, una società di infrastrutture web. La premessa è che i computer convertono siti web come Facebook.com in indirizzi numerici (IP), attraverso un sistema che l’esperto paragona alla rubrica di un telefono. «Il problema interno che si è verificato in Facebook – spiega Graham -Cumming – è stato l’equivalente del rimuovere i numeri di telefono degli utenti dai loro nomi in rubrica, rendendo impossibile chiamarsi». È come se improvvisamente fossero stati cancellati i percorsi che consentivano agli utenti di accedere ai server di Facebook. In pratica, milioni di smartphone e di altri dispositivi stavano cercando insistentemente di trovare le app di Facebook su Internet e questi tentativi inutili generano traffico che rallenta tutti gli altri accessi.

Il ripristino manuale

«Questa interruzione del traffico di rete ha avuto un effetto a cascata sul modo in cui comunicano i nostri centri dati e hanno bloccato i nostri servizi», ha riassunto il vicepresidente delle infrastrutture di Facebook, Santosh Janardhan, in un post.

Il vero problema di questa faccenda è che per correggere questo errore bisogna accedere fisicamente a dei peering router (non essendo raggiungibili da remoto) ma chi può farlo non è necessariamente dotato delle autorizzazioni e dell’autenticazione che sono necessari. Sempre il New York Times ha spiegato che Facebook avrebbe inviato una squadra ad uno dei suoi data center a Santa Clara, in California, per resettare manualmente i server.

Ma i problemi non sono finiti qui, perché anche le semplici serrature delle porte degli uffici di Facebook sono “smart” e quindi per molte ore sono risultati inaccessibili, con molti dipendenti che non sono riusciti a entrare perché i loro badge non funzionavano.

Le fake news e il crollo in borsa

Inizialmente si è diffusa la notizia che fosse tutta responsabilità di un attacco esterno, ma l’errore è stata esclusivamente una responsabilità interna. E non si è trattato di un record, perché un altro blackout di Facebook, WhatsApp e Instagram nel marzo 2019 durò oltre quattordici ore. Ieri molti utenti hanno “tamponato” la crisi commentando il down mondiale su Twitter, che invece quasi sempre è invulnerabile da questo punto di vista. Chi aveva bisogno di comunicare si è spostato su Telegram.

Capitolo borsa: azioni giù di oltre il 5% e perdite per 6,1 miliardi di dollari per Mark Zuckerberg. Sono i numeri della giornata nera di Facebook. Una giornata che era iniziata con la “talpa” di Facebook uscita allo scoperto con l’accusa al social di mettere il profitto al di sopra della sicurezza. La 37enne Frances Haugen si è mostrata alla trasmissione ‘”60 minutes” denunciando che Fb è consapevole che le sue piattaforme diffondono odio, violenza e disinformazione, anche se ha sempre cercato di nasconderlo per motivi d’interesse.

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