Cultura

IL MUSEO FILANGIERI E PALAZZO COMO

Il Museo Civico Gaetano Filangieri è un museo privato situato a Napoli, nei pressi del Decumano Inferiore (Spaccanapoli) e lungo Via Duomo, allestito nel quattrocentesco Palazzo Como, ricordato anche come il ‘palazzo che cammina’ essendo stato spostato nel secolo scorso, di circa venti metri per far posto al prolungamento di quella strada.

Questo palazzo deve la sua costruzione (fra il 1464 e il 1490) alla nobile famiglia dei Como che lo destina a dimora di residenza fino al 1587, anno in cui, a causa di problemi finanziari,  il palazzo viene venduto a De Bottis, ricco libraio, e poi ancora ai padri predicatori di Santa Caterina da Siena.; come accade per la Certosa di S.Martino, con la soppressione dei beni ecclesiastici del 1866 anche Palazzo Como è espropriato in favore del Demanio pubblico ed è quindi destinato a sede di uffici pubblici.

Il museo venne fondato nel 1882 dal Principe Gaetano Filangieri (1824-1892) Principe di Satriano, grande appassionato d’arte (e nipote del celebre e omonimo giurista e filosofo napoletano), il quale nel 1881 avanzò la proposta al Consiglio comunale di allocare le sue raccolte d’arte (armi, ceramiche, orificeria, vetri, sculture, manoscritti, quadri, miniature, libri) in quel che restava di Palazzo Como, rara testimonianza architettonica del rinascimento toscano a Napoli e del quale rimanevano la splendida facciata in bugnato e i muri laterali.

La notizia del progetto di abbattere le secolari mura in piperno di Palazzo Como scatenò un’immediata ed accesa protesta dei cultori d’arte che, oltre a cogliere di sorpresa gli autori del “Piano Regolatore”, costrinse la ” Commissione dei Monumenti”, istituita proprio con lo scopo di vigilare i piani di esecuzione, ad avanzare al Consiglio comunale la proposta di procedere allo smantellamento delle mura perimetrali per poter essere ricostruite sul perimetro del nuovo piano regolatore di via Duomo; il Consiglio comunale rilasciò il proprio parere con la piena approvazione ed entusiasmo del sindaco del tempo Girolamo Giusso, e, a sue spese, procedette alla riedificazione delle facciate murarie su di un perimetro arretrato di circa 20 metri rispetto alla posizione originaria.

Due anni più tardi iniziarono i lavori per il ripristino dell’edificio, completamente finanziati dal Principe e terminati cinque anni dopo.

L’8 novembre del 1888 il museo fu aperto al pubblico, come parte di un progetto di Museo artistico industriale napoletano che si ispirava a modelli francesi e inglesi e a esempi italiani (Torino).

Le collezioni annoveravano oltre 3.000 prodotti artistici, più di 10.000 monete e medaglie, libri, pergamene e documenti d’archivio.

Tra le collezioni, le armi europee e orientali (provenienti da Cina, Giappone e Turchia), i tessuti, la raccolta numismatica, le porcellane (centinaia di pezzi dalle migliori fabbriche italiane ed europee), alcune sculture (busto di Ferdinando IV di Borbone di Antonio Canova), di Lorenzo Vaccaro – sue le sculture “Ercole uccide l’Idra di Lerna” e “Ercole e il leone”, dipinti di Bernardino Luini (S. Prassede) e dello Spagnoletto, Jusepe de Ribera (Testa di S. Giovanni Battista e S. Maria Egiziaca), tele di Francesco Solimena e di Battistello Caracciolo, pastori presepiali del XVIII e XIX secolo, il pavimento (1882) con lo stemma e le iniziali dei Filangieri, prodotto nelle officine artistiche del principe.

Di particolare interesse, la sistemazione tardo-ottocentesca degli ambienti, articolati intorno a due grandi saloni al pianterreno e al prima piano, una biblioteca ed una pinacoteca. La prima oggi custodisce circa 30mila volumi ed un ricchissimo archivio storico con documenti che coprono un vasto arco temporale che va dal XIII secolo al XIX secolo. Arricchisce il museo un’elegante scala elicoidale di 40 gradini, decorata da stemmi marmorei e armi.

Si tratta di un museo di grande prestigio, pensato e disegnato dallo stesso Filangieri, che per la realizzazione scelse le tecnologie più avanzate per l’epoca, come il soffitto della Sala Agata con copertura a vetri per consentire un’illuminazione diffusa o il riscaldamento delle sale attraverso tubi inseriti nel pavimento.

Il Museo Civico Filangieri fu pensato, sin dal suo nascere, come il fulcro di una precisa politica culturale interessata da un lato, alla conservazione dei monumenti , dall’altro allo sviluppo industriale di Napoli.

Uno degli obiettivi che Gaetano Filangieri voleva raggiungere con la realizzazione del museo era quello di realizzare anche uno strumento che migliorasse l’economia della città, partendo dal passato, proprio dai documenti del passato. Per il Filangieri non esisteva differenza tra documento e monumento, il monumento è documento e viceversa, e affronta questo discorso partendo proprio dalla  Società Napoletana di Storia Patria (di cui fu elemento molto attivo), e dalla scuola Officina, un museo artistico industriale a Napoli, dove fu coinvolto nella realizzazione da Filippo Palizzi e Domenico Morelli, ma dovuta, in particolar modo, alle conoscenze ed all’esperienza acquisite dal patriota, nonché raffinatissimo esperto di Belle Arti, Demetrio Salazar.

Attrezzato di laboratori ed officine, l’Artistico-Industriale scarseggiava di modelli utili ai futuri designer. Il Museo Civico diventa il luogo dove studiare e copiare quei modelli. Due istituzioni diverse sono unite, grazie a Filangieri, da un unico obiettivo ideale: il museo inteso come strumento didattico, luogo di studio e di crescita per la città.

Per Gaetano Filangieri  l’attività espositiva non doveva essere disgiunta dallo studio e dalla ricerca e, pertanto, dotò il suo Museo di un archivio e di una biblioteca specializzata  e lo connotò, per l’appunto, come centro di studi e di ricerche sul territorio. Purtroppo, la lungimirante visione del fondatore dovette scontrarsi con il mutare dei tempi e con il decadere della spinta ideale che aveva sorretto le sue idee. Il Museo Artistico Industriale, divenuto semplicemente Istituto Artistico e Industriale, si concentrò sulla sola funzione didattica e il Museo Filangieri sopravvisse sempre più estraniato dalla sua città.

Purtroppo parte di tutto questo prezioso materiale andò distrutto durante la Seconda Guerra Mondiale. Il 30 settembre del 1943 una squadra di guastatori tedeschi incendiò la villa Montesano di San Paolo Bel Sito dove, per prevenire i danni di guerra, erano stati ricoverati l’anno precedente le opere di maggior pregio del museo insieme ai documenti più preziosi dell’Archivio di Stato di Napoli, allora diretto da Riccardo Filangieri che contemporaneamente ricopriva la carica di direttore del museo. Del patrimonio del museo si salvarono circa quaranta dipinti ed una cassa contenente armi antiche.

Così scompaiono nel fuoco di distruzione un ” Ritratto di un personaggio di Casa Medici” del Botticelli, ” La Sacra Famiglia” attribuita al Pollaiolo, una ” Deposizione” del Pordenone, il ” Ritratto del giurista Gaetano Filangieri” di Domenico Morelli, numerose opere di Luca Giordano, di Francesco Solimena e di Mattia Preti.

Cessato il conflitto bellico, Riccardo Filangieri di Candida Gonzaga, in unione con il soprintendente alle Gallerie per la Campania, il prof. Bruno Molajoli, e con il supporto del Ministero della Pubblica Istruzione e del Comune di Napoli non solo, il 29 settembre 1948, riapre il Museo Civico, ma attraverso donazioni di singoli privati e di altri musei statali ne rinnova, accrescendolo, il patrimonio. Ed il suo successore, Francesco Acton, impiega tutto il suo mandato, terminato nel 1988, per ristrutturare e modernizzare la struttura di Palazzo Como di cui arriva a progettare un ampliamento nella parte retrostante per consentire a tutti i napoletani di arricchire il proprio Museo Civico con donazioni personali.

Con la fine della gestione di Francesco Acton ha inizio il periodo più buio per il Museo Civico: ciò che l’incendio di S.Paolo Belsito non riesce a compiere, malgrado la tragica perdita di cinquanta opere d’arte, è attuato dall’incuria delle classi dirigenti che si susseguono alla guida di Napoli. Uno spasmodico avvicendamento di chiusure ed aperture caratterizza la storia del Museo Civico per più di vent’anni, procurando gravi danni alla struttura architettonica di Palazzo Como .

Nel 1999 chiuse nuovamente, questa volta a causa di furti e mancanza di risorse.

Solo nella primavera del 2012, grazie all’azione del direttore, Gianpaolo Leonetti (nel luglio del 2013 nasce poi l’Associazione Salviamo il Museo Filangieri ONLUS che promuove e sostiene il Museo in tutte le sue attività e ne diffonde la conoscenza).

I concerti, le mostre e l’organizzazione di vendite all’asta delle opere d’arte degli artisti contemporanei consentono, dalla costituzione di quest’associazione, il ritorno in vita del Museo Civico. La restituzione al pubblico della ” Sala Agata” ( intitolata proprio alla madre del filosofo partenopeo, Agata Moncada), avvenuta il 5 dicembre 2015 è stata resa possibile dalla collaborazione tra le istituzioni pubbliche e il mecenatismo dei privati.

La riapertura è stata resa possibile grazie infatti al fondo istituito dalla Regione Campania, con la collaborazione della Soprintendenza Speciale per il Polo Museale (costituito dal sindaco Luigi de Magistris, dal soprintendente Fabrizio Vona e dal rappresentante degli eredi Filangieri Riccardo Imperiali di Francavilla) e dell’Istituto Superiore per il Restauro del MIBAC e dall’ impegno collettivo che ha trovato un valido alleato nella Onlus Salviamo il Museo Filangieri.

In quello che è stato un lungo restauro, costituisce una piccola curiosità la scelta di recuperare, per le pareti, lo stesso colore utilizzato da Gaetano Filangieri nel 1882, anno della prima messa a punto dello spazio espositivo. Con lungimiranza e forse un po’ di pignoleria il fondatore aveva fatto accuratamente conservare i campioni della tinta utilizzata, cosa che si è rivelata utilissima ai fini dell’impresa di ripristino della sala . E così hanno fatto ritorno a casa 386 porcellane, maioliche e terrecotte della Collezione Perrone, conservate per anni presso il Museo Duca di Martina, così come un Mattia Preti che aveva, invece, trovato ospitalità al Museo Nazionale di Capodimonte.

L’intervento di restauro ha riportato all’originario splendore l’arredo dello storico palazzo. Lo stato di conservazione degli arredi e dei pannelli di rivestimento parietale non era infatti dei migliori: polveri miste, inquinanti atmosferici, cere pesanti e vecchi interventi di cattivo restauro, ma anche umidità ed eccessiva esposizione della luce, avevano provocato fenomeni di alterazione del colore e di deformazione del tenero legno. Ma ora è storia passata perché tutto è ritornato in vita. Ed è una grande notizia perché gli arredi costituiscono la vera cornice del museo, quella che custodisce gli oggetti della collezione.

Quindi oggi sono visitabili la “Sala Carlo” al piano terra che ospita sculture ottocentesche, reperti archeologici e collezioni di armi antiche e la “Sala Agata” al piano superiore, con uno splendido pavimento maiolicato, con alle pareti la quadreria che espone principalmente dipinti del Seicento napoletano, tra cui opere di Jusepe de Ribeira, Luca Giordano, Andrea Vaccaro, Battistello Caracciolo, Mattia Preti.

Lungo il perimetro superiore di questa sala è stato realizzato un corridoio in legno pregiato su cui sono disposti numerosi armadi con vetrine che espongono porcellane, ceramiche, maioliche e biscuit di pregiato valore artistico.

Il corridoio perimetrale dà anche accesso alla biblioteca dotata di circa 30.000 volumi ed un archivio storico con documenti dal XIII al XIX secolo.

Questo era lo studio del Principe con un’imponente scrivania decorata ad intaglio.

L’edificio di Palazzo Como consiste di due piani e tre facciate, una su via Duomo con ingresso arcuato, una su via Lucrezia d’Alagno, e l’ultima sulla piazzola dell’antico conservatorio dell’Ecce Homo, e presentano tutte un alto basamento rivestito in piperno, un bugnato rustico intermedio corrispondente al primo livello e una parte più alta, a bugnato liscio, con soprastante cornicione. Sul portone di legno dell’ingresso sono riportati gli stemmi di casa Filangieri.

La vicenda del Museo Civico “Gaetano Filangieri” è la storia stessa del suo fondatore.

Le Antichità e le Belle Arti sono le passioni a cui Gaetano Filangieri si consacra, e fin dalla giovane età inizia ad intraprendere numerosi viaggi in diversi Paesi del mondo attraverso i quali, accanto all’approfondimento degli studi storici, gli è possibile dar vita ad una collezione di opere d’arte e manufatti che, presto, gli conferiscono una fama notevole nell’ambiente artistico-culturale di Napoli.

Egli nella diffusione delle innovazioni tecnico-scientifiche individua lo strumento privilegiato per lo sviluppo economico e per la fine della ghettizazione sociale.

L’incalzare delle guerre risorgimentali e i gli ostacoli procurati dalle gelosie degli ambienti della corte borbonica gli inibirono lo sviluppo di ognuno di questi progetti, fino all’unità d’Italia.

Dalla raccolta è evidente il clima dell’epoca in cui Gaetano Filangieri visse, uno scontro tra la fiducia del Positivismo con l’esaltazione del progresso scientifico, tecnologico e dell’evoluzione sociale ad una tendenza poi ad una spiccata sensibilità del Romanticismo, basata sull’immaginazione, con le sue fughe esotiche ed una profonda rivalutazione dell’individuo.

Entrando nel museo si resta sicuramente estasiati dalla struttura e dalla sua bellezza, dalla bellezza delle volte, degli intarsi in legno, dalla presenza di elementi oggetti che celebrano la famiglia di Gaetano Filangieri.

Del vecchio palazzo Como, in cui il museo è situato, non rimane più niente, tutto è rifatto e pensato con una funzione museale.

Riordinato ed organizzato per garantire una maggiore leggibilità degli oggetti esposti il Museo oggi non ha perso nulla del fascino e del calore del suo originario allestimento che costituisce una testimonianza storica estremamente interessante.

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