Officina delle idee

La dolorosa odissea del barone Carlo Poerio nelle carceri del Regno delle Due Sicilie. L’intervista alla Prof.ssa Poerio

Teverola, La chiar.ma Prof.ssa Poerio, ha recentemente pubblicato il libro “Carlo Poerio e William Gladstone. Le due Lettere al Conte di Aberdeen sui processi politici del governo napoletano (1851). I documenti dell’Archivio di Stato di Napoli”, edito da Rubbettino, con un’introduzione di Renata De Lorenzo. Il libro sta riscuotendo molto interesse.

Quali sono i particolari che emergono dai documenti custoditi all’Archivio di Stato di Napoli?

Il mio libro nasce dallo studio e dalla selezione di documenti che fanno parte del Fascio N. 4362 del Ministero Affari Esteri – Affari riservati dell’On. W. Ed. Gladstone. Si tratta della corrispondenza diplomatica di Giustino Fortunato, Ministro degli Affari Esteri del Regno delle Due Sicilie. Il volume comprende anche la traduzione, da me curata, di saggi di studiosi stranieri, Denis Reidy (già Direttore della Sezione Italiana e Greca della British Library di Londra), Steve Soper (Professore della University of Georgia, Departement of History) e Pierre-Marie Delpu (della Casa de Velàzquez di Madrid), che illustrano le dinamiche che precedettero il viaggio a Napoli dell’illustre statista, la pubblicazione delle lettere e l’uso efficace della stampa per veicolare il suo messaggio umanitario. Innanzitutto bisogna evidenziare che la questione delle Due lettere di Gladstone a Lord Aberdeen sui processi politici del Governo napoletano è stata da sempre molto dibattuta. Quando furono pubblicate nel 1851 suscitarono grande scalpore in Europa e negli Stati Uniti d’America perché rivelarono i soprusi subiti dai prigionieri politici napoletani e, in particolar modo, da Carlo Poerio che fu ingiustamente imprigionato dopo essere stato accusato da Luigi Jervolino che fu pagato per testimoniare il falso; ovvero di appartenere alla Setta l’Unità Italiana. Il governo borbonico e la pubblicistica ad esso fedele hanno tentato in vari modi di confutare le lettere di Gladstone, negando e occultando slealmente i maltrattamenti subiti dai prigionieri politici. Soprattutto essi negavano che Carlo Poerio fosse costretto a trascinare notte e giorno una pesantissima catena, cosa che ancora oggi i filoborbonici si ostinano a negare. Le tesi revisioniste si sono, inoltre, spinte a dichiarare falsa la visita del politico inglese a Carlo Poerio nel carcere di Nisida e a sostenere che egli avrebbe successivamente smentito la veridicità della sua denuncia, collocandola nel complotto organizzato da Lord Palmerston contro la monarchia borbonica. I documenti presentati nel mio libro evidenziano l’infondatezza di queste tesi e dimostrano che il Regno delle Due Sicilie, attaccato e isolato, nel difendersi, rafforzò i legami con le potenze conservatrici, ricorse a sistemi di controllo della pubblica opinione, usò la corruzione. Ad esempio, il Regio Incaricato di Affari del Regno delle Due Sicilie a New York suggerì al re di “comprare” il silenzio dei giornalisti americani, pratica evidentemente non insolita, dato il peso della stampa nel condizionare le sfere di influenza e di consenso. Inoltre dai documenti emerge che il Principe di Castelcicala, Ambasciatore del Regno delle Due Sicilie a Londra, si teneva costantemente in contatto con Giustino Fortunato e gli inviava continuamente ritagli di giornali che parlavano dello scalpore suscitato dalle Lettere di Gladstone. Il 23 agosto 1851, ad esempio, accludeva ad una sua lettera un ritaglio del giornale “The Times” dove era pubblicato un articolo, scritto dal corrispondente a Napoli, relativo alle Lettere di Gladstone. Il Castelcicala sollecitava il Marchese Fortunato a parlare con il corrispondente per indurlo a correggere le sue impressioni. Dopo le sollecitazioni di Giustino Fortunato, nel numero del 13 settembre, lo stesso corrispondente del Times non appoggiava più le dichiarazioni di Gladstone, diversamente da come aveva precedentemente fatto nell’articolo da lui pubblicato sul Times del 6 agosto. Per questo motivo Castelcicala in una sua lettera, rinvenuta all’Archivio di Stato di Napoli, si felicitava con Fortunato. Questo ci spinge a chiederci: quali mezzi aveva usato Giustino Fortunato affinché il corrispondente del Times cambiasse opinione? Dai documenti da me trascritti si rileva anche che le confutazioni alle Lettere di Gladstone furono commissionate dal governo borbonico e che gli autori Alfonso Balleydier e Jules Gordon furono ben ricompensati con ricchi doni in brillanti sia dall’Imperatore d’Austria che dal sovrano del Regno delle Due Sicilie, Ferdinando II di Borbone.

Da cosa si evince l’attendibilità delle affermazioni di Gladstone?

Ci sono numerose prove dell’attendibilità delle Lettere di Gladstone, che costituiscono una fondamentale e incontrovertibile testimonianza del feroce dispotismo borbonico e del dilagante sistema di corruzione. Innanzitutto, basta leggere “Carceri e Galere politiche” di Sigismondo Castromediano, il quale afferma: le Lettere “sbugiardarono il Re ed il suo governo, strappando loro la maschera dell’ipocrisia, e collocandoli fra i più sleali e tirannici dei tempi moderni…. Ed invano Giacinto de Sivo, nella sua Storia delle Due Sicilie dal 1847 al 1871, tenta di abbattere la forza e l’autorità di quelle lettere sublimi, scritte in difesa dell’onore e dell’umanità conculcata, e svelatrici di misteriose empietà”. Allo stesso modo si può leggere la lettera “Al Signor Gladstone. Parole di gratitudine di Giuseppe Massari ex deputato al parlamento napoletano”: “Le vostre lettere a Lord Aberdeen non sono soltanto una buona e nobile e santa azione, ma un grande atto politico, un vero avvenimento. […] Il contegno del governo napoletano verso i supposti o veri colpevoli di delitti politici, avete voi detto, è un oltraggio alla religione, alla umanità, alla civiltà, e alla decenza: e con queste vibranti e decise parole avete data la più acconcia ed esatta definizione, che mai con lingua umana dar si possa del governo napoletano”. Ad avvalorare le Lettere di Gladstone, emblematiche sono anche le parole a lui indirizzate da Carlo Poerio, dopo la sua liberazione, in una sua lettera, custodita alla British Library di Londra, scritta da Cork il 12 marzo 1859: “Nulla vi ha di più esattamente istorico. Il vero spesso può non esser verisimile, soprattutto quando la rabbia della persecuzione studia tutt’i modi possibili per convertire una prigione in una tomba di uomini vivi.” A questo punto bisogna ricordare che le affermazioni di Gladstone, specialmente in riferimento all’arresto e al processo di Carlo Poerio, sono perfettamente aderenti a quanto dichiarato da quest’ultimo nel suo discorso pronunciato davanti ai suoi giudici. È fondamentale tener presente che il processo politico contro la setta degli Unitari non era altro che un processo contro i capi del liberalismo napoletano: in esso mancava il reato e si voleva crearlo. Questa è la sentenza del 31 gennaio 1851 (“Decisione della Gran Corte Speciale di Napoli nella causa della setta l’Unità Italiana”, p. 117,121): Carlo Poerio, fu dichiarato con sei voti su otto, colpevole di appartenere alla Setta l’Unità Italiana; a voti uniformi era stato accertato che Carlo Poerio non aveva a mezzi di scritti stampati, provocato il popolo a commettere attentato contro la sicurezza interna dello stato. Una chiara dimostrazione che il processo di Carlo Poerio si basava esclusivamente sulla falsa testimonianza di Luigi Jervolino, così come affermava Gladstone.

Cosa si sente di dire a coloro che ancora oggi sostengono la linea negazionista del governo borbonico?

Sembra assurdo che attualmente ci siano persone che, nonostante la presenza di prove incontrovertibili, come i documenti da me citati, si ostinino a negare i maltrattamenti subiti da Carlo Poerio. Probabilmente essi sono nostalgici di tale regime. Ma se avessero voglia di documentarsi, essi potrebbero leggere anche i saggi di ricercatori che hanno dedicato i loro studi ai prigionieri politici del Regno delle Due Sicilie, come quelli degli studiosi stranieri presenti nel mio libro. Ma se ciò non bastasse, un’ulteriore e definitiva risposta potrebbe darla loro una missiva scritta proprio da Carlo Poerio il 12 marzo 1860 e indirizzata al Direttore del Times; una dichiarazione per confutare le gratuite affermazioni, pronunziate nella Camera dei Comuni nel maggio 1860, dall’Onorevole Sir John Pope Hennessy, deputato della King’s County – uno dei conservatori più tenacemente ostili all’Unità d’Italia, – in difesa del Governo dei Borbone di Napoli. Il Poerio, chiamato direttamente in causa dall’oratore, si rivolse al direttore del giornale londinese The Times, che aveva pubblicato un largo resoconto di quel discorso, perché vi accogliesse anche la relativa smentita: “[…] Il 4 febbraio, come dissi, fui condotto legato ed affunato e con le manette insieme à miei compagni dal carcere della Vicaria nell’arsenale di Napoli che sottostà alla Reggia. Colà fui ferrato con doppia catena ed in coppia col mio onorevole amico l’ex giudice Pironti, già Deputato al Parlamento; i nostri ferri furono ribaditi sulla incudine; fummo vestiti con gli abiti di galera, poscia condotti sopra un piccolo piroscafo, e subito calati in sentina […] tutti i condannati à ferri, non escluso il qui sottoscritto, hanno portato sempre la catena fino al giorno della commutazione della pena. […] se queste nuove non bastano al Sig. Hennessy, gli ricorderò che l’onorevolissimo Sig. Gladstone in Nisida mi trovò col ferro al piede accoppiato al Sig. Pironti; che Lord Aristil che venne a vedermi in Ischia accompagnato dal viceconsole francese Sig. Chevalley de Rivaz, mio antico conoscente, mi trovò all’ospedale non solo col ferro al piede, ma al puntale; che i Sig.ri Turner e Guppy, negozianti inglesi, che per commissione del Governo vennero a visitare il Bagno di Montesarchio, mi trovarono col ferro al piede. Anzi avendomi que’ Signori domandato se era vero ch’io fossi stato operato dal Chirurgo ritenendo la catena, risposi di sì e narrai loro il fatto in presenza di tutte le Autorità che li accompagnavano, cioè il Comandante, il Capitano della guarnigione, l’Ispettore di Polizia, il Comite, i Gendarmi, gli sbirri, gli aguzzini, e niuno solo osò impugnare la verità del mio racconto.”

 

A cura di Raffaele Fattopace

Potrebbe piacerti...