Cultura

La ricerca della verità sul caso Aldo Moro

Quando su alcune vicende, che interessano la vita politica del Paese, rimangono aperti troppi interrogativi, vuol dire che a quegli interrogativi non si vuole dare risposta. È la conclusione della Commissione parlamentare d’inchiesta sulla loggia massonica P2, presieduta da Tina Anselmi. Non a caso, viene ricordata in quest’occasione di dibattito sula caso Aldo Moro dal Vicepresidente del gruppo PD alla Camera Gero Grassi. Si tratta dell’ennesimo ma non ultimo incontro, più che una commemorazione, per discutere sulle circostanze della morte del cinque volte Presidente del Consiglio dei ministri: un lungo percorso di conferenze e manifestazioni che ha già attraversato tutta l’Italia e che proseguirà fino al prossimo anno. Quella del 26 settembre è stata ospitata nella sede della Fondazione Sudd a Napoli, e ha visto gli interventi del già citato Grassi, dell’On. Valeria Valente e del presidente della Fondazione stessa Antonio Bassolino. La tristemente nota vicenda, oltre ad avere un ruolo chiave nella storia politica del nostro Paese, ha appunto, come suggerito dall’On. Valente nella sua introduzione, uno specifico collegamento con il capoluogo campano, dal momento che tra i brigatisti responsabili del rapimento c’era anche un napoletano. Non che questo sia l’unico anello di congiunzione con la città partenopea, o che si debba ricercare il colpevole nella nazionalità di questo o nella provenienza di quello. Il caso Moro è profondamente intrecciato con ogni singola fibra della nostra penisola, con la sua storia passata, i suoi cittadini e le sue istituzioni, arrivando a toccare anche presunti e insospettabili responsabili al di fuori dei nostri confini. Non si dirà nulla di nuovo, infatti, ricordando che, in questi tre decenni, sono stati ipotizzati i coinvolgimenti degli Stati Uniti, di Israele, dell’URSS, ciascuno con i propri infiltrati all’interno delle Brigate Rosse, e poi dei servizi segreti, fino alle più alte cariche dello Stato. La verità, come spesso succede in questi casi, molto probabilmente non starà da una sola parte. Più che gridare al complotto internazionale, si tratta di insinuarsi all’interno di grandi forze per ricercare piccoli brandelli di verità, per capire da chi e da che cosa sia stata lasciata questa grande macchia nera sulle pagine dei nostri libri di storia.

Il 2 novembre 1977, a Roma, gli stessi membri delle BR che di lì a poco avrebbe rapito Aldo Moro, ferirono gravemente l’allora deputato Publio Fiori. Sui giornali italiani non tardarono a comparire i titoli che preannunciavano che la volta successiva sarebbe toccato proprio a Moro. I segni dell’agguato imminente si andavano moltiplicando a vista d’occhio, come le poco fraintendibili intimazioni a smettere di avvicinare le forze politiche italiane nel tentativo di farle collaborare, o altrimenti l’avrebbe “pagata cara”. Se i segnali dell’incombente tragedia erano troppo difficili da cogliere per imputare a qualcuno la colpa di non averli decifrati in tempo, restano comunque le numerosissime ombre, discrepanze e mezze verità che ancora oggi ci impediscono di vedere chiaro sulla vicenda. «Per noi, Andreotti, Fanfani e Moro erano uguali. Quando abbiamo conosciuto Moro, ci siamo resi conto che lui da una parola capiva più di mezzo mondo». È una dichiarazione del terrorista militante delle BR Mario Moretti, anch’egli tra gli artefici del sequestro. Queste parole, riportate, come tante altre, da Gero Grassi, vengono poi riprese qualche minuto dopo anche da Bassolino, specificando che i tre uomini di Stato, forse, in principio potevano anche apparire simili tra di loro, ma non c’è dubbio che Moro fosse quello più riformista, più impegnato nel progresso del nostro Paese e nella reciproca collaborazione tra tutte le forze politiche, e che colpire lui significava, di conseguenza, segnare un goal a favore della paralisi e dell’immobilità, mettere la parola fine al compromesso storico, che, difatti, sarebbe stato archiviato con la sua stessa morte.

Oggi, a distanza di 36 anni dalla data del rapimento e del ritrovamento in via Caetani, tornare a discutere di Aldo Moro e della sua drammatica scomparsa, ritornando alle parole di Valeria Valente, non ha a che fare solo con il passato alle nostre spalle, ma diventa necessario per tentare di comprendere in se e in che modo l’intera questione abbia danneggiato il progresso della democrazia in Italia, e quali ripercussioni abbia avuto sulla vita politica dei nostri gruppi dirigenti al potere. Il 2 ottobre partirà finalmente la Commissione parlamentare d’inchiesta, dietro proposta degli on.li Grassi, Giuseppe Fioroni e Roberto Speranza, che avrà il faticoso compito di contribuire a dissipare tutte le ombre sul caso. Con l’auspicio che a segnare la fine di questo capitolo sia la parola giustizia.

Potrebbe piacerti...