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LE UNIONI CIVILI, NON SONO UNA CONCESSIONE DELLO STATO, MA PIUTTOSTO UNA DOVEROSA FORMA DI LIBERAZIONE DEI DIRITTI, CHE ANDREBBE CONSEGNATA AL PAESE CON TANTO DI SCUSE PER IL RITARDO

Con il termine Unione civile è da intendersi quella forma di convivenza alla quale uno Stato riconosce uno status giuridico, e che pur essendo basata su un legame di natura affettiva, ed implicando diritti e doveri reciproci tra i conviventi sotto il profilo economico, non può essere equiparata al matrimonio. E’ bene sottolineare questo aspetto, anche nell’ottica della libera scelta dei conviventi. Essi potrebbero ricorrere all’istituto del matrimonio, con le conseguenze di carattere giuridico che deriverebbero da tale scelta, eppure decidono scientemente di non farlo. Far discendere da questo tipo di unione una gamma di diritti e doveri particolarmente ampia, pressoché identica all’istituto matrimoniale, senza una precisa volontà espressa in tal senso, potrebbe risultare invasivo quando non addirittura invalidante rispetto alle libertà del singolo in rapporto ad una sfera classicamente intima della propria espressione sociale. Questo, senza tralasciare tuttavia le tutele basilari da riservare alla coppia convivente, frutto della semplice quotidianità. Una indiretta imposizione simil -matrimoniale invece, non lascerebbe alcuno spazio per l’altrettanto legittima scelta da parte di due soggetti di regolare la propria intimità in maniera diversa. Posizione resa chiara, dal loro libero e consapevole mancato ricorso all’istituto matrimoniale. Del resto, se così non fosse, come potrebbero due persone esercitare il loro diritto di vivere sotto lo stesso tetto, senza che da ciò scaturiscano vincoli giuridici tendenti al rapporto di coniugio vero e proprio?
Ben diversa, è la situazione per le coppie omosessuali, per le quali le unioni civili hanno forse una significato ancor più importante. La differenza si basa sulla semplice ma fondamentale nota, che nel nostro ordinamento ( comunque la si pensi in merito) la possibilità per le coppie omosessuali di ricorrere all’istituto matrimoniale, non è prevista. E’ chiaro dunque, che esse non hanno alcuno strumento, allo stato dei fatti, per vedere riconosciuta la propria unione, e fa scandalo anche il solo fatto che nel nostro Paese ancora se ne discuta. I diritti e i doveri per le coppie omosessuali devono essere riconosciuti nella forma più ampia possibile: dall’assistenza alla reversibilità, senza alcuna distinzione rispetto alle coppie eterosessuali. Ciascuno può avere ed esprimere la propria opinione, in base ai propri valori, alla propria morale. Ma far discendere da ciò dei divieti, delle limitazioni delle libertà personali, il cui esercizio non arreca in alcun modo danni oggettivi a terzi o alla Comunità, è semplicemente discriminatorio. Si è inevitabilmente contemporanei rispetto alla propria Storia, e questo può rendere ciechi. Ma se tra qualche anno guarderemo al dibattito in corso su questa parte dei diritti civili, avremmo probabilmente la stessa impressione che oggi ci colpisce nel guardare alle discriminazioni presenti qualche decennio fa.
Anche sulla questione dell’adozione interna o stepchild adoption, il dibattito appare surreale. Se si contempla l’esistenza di un nucleo familiare, non si può prevedere l’esclusione da esso del minore. Fare ciò, vorrebbe dire anteporre steccati culturali, all’interesse del minore stesso. Diverso è il discorso della maternità surrogata. Il meccanismo del cosiddetto utero in affitto, fingendo di dialogare con la miseria umana presente in varie realtà, appaga il desiderio di chi può, sfruttando la condizione di chi ha bisogno. L’eventuale presenza di situazioni volontarie, magari spinte da un sincero spirito amicale, non può legittimare una pratica che già oggi assume contorni di profonda inciviltà. Va specificato però, che la maternità surrogata nulla c’entra con le unioni civili per coppie omosessuali, dal momento che la più gran parte delle coppie che ricorre allo strumento dell’utero in affitto, sono coppie eterosessuali. Sarebbe forse il caso, di concentrare maggior attenzione verso le modalità e la tempistica previste per le adozioni.
Il Ddl Cirinnà se venisse approvato nella sua forma attuale, comprendendo anche la stepchild adoption, prevedrebbe quindi la possibilità di adottare il figlio del proprio compagno o della propria compagna. A questo punto, si fanno largo due domande: perché una coppia ritenuta idonea per la crescita del figlio di uno dei due compagni o compagne, non viene considerata altrettanto idonea per l’adozione tout court? Il pur ammirevole lavoro svolto negli istituti per bambine e bambini senza la presenza dei genitori, è tuttavia da preferire alla possibilità che essi crescano in una famiglia costituita da una coppia omosessuale, tanto più se considerata adeguata nel caso di un figlio già presente? Ad ogni modo, l’agenda politica attuale, ci chiede riflessioni sulle unioni civili, frutto di un inevitabile compromesso. C’è però da chiarire un aspetto: questo provvedimento, se approvato, rappresenterebbe la presa d’atto da parte della lenta e troppo spesso anacronistica politica, di una realtà già ampiamente presente nella nostra società. Questo perché, come spesso accade, la società anticipa il diritto. Le unioni civili non sono una concessione dello Stato, ma piuttosto una doverosa forma di liberazione di diritti, che andrebbe consegnata al Paese con tanto di scuse per il ritardo.

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