Officina delle idee

NON DIMENTICARE IL CARCERE

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di Samuele Ciambriello e Dario Stefano Dell’Aquila.

Nonostante un progressivo calo della popolazione detenuta, che ha segnato una positiva inversione di tendenza  in materia di misure alternative, i numeri della detenzione continuano a dire che non bisogna abbassare l’attenzione sull’universo penitenziario. Sono oltre 7mila i detenuti (quasi 900 stranieri) nelle 17 carceri della Campania, mille oltre la capienza ufficiale fissata in 6mila posti. Circa milleottocento sono in attesa di giudizio definitivo. Trecentoventinove sono le donne, larga parte delle quali ristretta nel più grande carcere femminile di Italia, quello di Pozzuoli (centocinquantasei donne presenti su una capienza di cento posti). Ben tre le carceri con oltre mille detenuti (1.867 a Poggioreale, 1.349 a Secondigliano e e 1.025 Santa Maria CV) tutte ampiamente sopra la capienza ufficiale e,  ancora, centotrentotto internati rinchiusi negli OPG di Aversa e Napoli.

            A questi dati, dobbiamo aggiungere due suicidi sui cinque decessi di cui si è avuto notizia. Sono queste le cifre che offrono una fotografia in bianco e nero della realtà penitenziaria campana. Naturalmente, i numeri da soli non sono sufficienti a raccontare la difficoltà del sistema penitenziario, per chi vi è recluso e per chi lavora sul versante sociale. Da un lato, si sconta ancora la mancanza di significative risorse destinate agli interventi sociali, di politiche strutturate in tema di mediazione culturale (eppure nel carcere i migranti sono un terzo della popolazione complessiva), di misure che tengano conto delle differenze di genere e di strutture alternative che consentano ai bambini piccoli di non varcare, con effetti traumatici, le soglie del carcere per seguire le loro madri. In alcuni casi addirittura, d’estate, si registra una carenza di acqua potabile, così come molti istituti non sono adeguati al regolamento penitenziario e non vi è la possibilità di fare la doccia in cella (ma si fa solo tre volte a settimana).

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Carcere di Poggioreale, esterno

L’estate rende ancora più complicate le cose. Questo clima torrido e questo caldo eccezionale che fanno roventi le nostre giornate, rendono ancora più incandescenti e difficili le condizioni delle persone ristrette e internate. Nel cortili di cemento dei passeggi o nel chiuso del blindato di una cella affollata, il caldo impietoso non offre scampo. A volte unica soluzione è un asciugamano bagnato posto a riparo della finestra, nel tentativo di rendere più lieve l’effetto del sole. Fuori, sotto il sole, familiari e bambini fanno la fila per l’ora di colloquio settimanale. Potranno abbracciare il loro congiunti solo dopo una perquisizione e ai bambini non è risparmiato nulla di tutto ciò.  Preoccupa anche l’apertura di reparti o sezioni psichiatriche che in parte dovrebbero accogliere gli internati negli OPG e che, come la storia ci insegna, rischiano di divenire terra di nessuno, luogo dimenticato di abbandono. In questa situazione, ci sono anche realtà, piccole, nelle quali si praticano da anni forme di custodia attenuata e interventi formativi o sociali interessanti,  dove si mette a sistema l’esperienza delle diverse culture del lavoro sociale.

          carc  Purtroppo, nonostante vi siano delle eccezioni, sono ancora pochi i parlamentari e i consiglieri regionali che, come consente il loro mandato, entrano nelle carceri per verificare le condizioni detentive. Spesso la politica, pur evocando sempre il carcere, ignora cosa sia davvero una prigione, quale forma di mortificazione assuma, pensando che la condizione per contrastare la criminalità organizzata sia un carcere buio e dimenticato. Noi pensiamo l’esatto contrario, che solo un diffuso rispetto dei diritti fondamentali, dell’indirizzo costituzionale che vuole che la pena non sia contraria al senso di umanità,  sia antidoto verso ogni forma di prevaricazione e violenza. Per questo ci auguriamo, specie ora che si da il via ad una nuova consiliatura regionale, che si mantenga alta l’attenzione sul tema, non solo attraverso il potere di visita dei singoli rappresentanti istituzionali, ma anche con interventi programmati e mirati in materia di politiche di inclusione sociale, senza bisogno di stipulare nuovi protocolli di intesa, ma semplicemente mettendo in atto quello che sin qui è rimasto scritto solo su carta. Non abbiamo bisogno di  politiche caritatevoli ma di interventi fondati sul principio che non debbano esistere luoghi in cui la vita umana è costretta a condizioni inumane e degradanti.

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