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Quale ruolo per le imprese agricole nell’agricoltura sociale ?

L’agricoltura sociale comprende una pluralità di esperienze, non riconducibili ad un unico modello organizzativo, accomunate dalla caratteristica di integrare, nell’attività agricola, esperienze di carattere socio-sanitario, educativo, formativo e di inserimento lavorativo, dirette soprattutto a fasce di popolazione svantaggiate o a rischio di marginalizzazione.
Attraverso iniziative come le fattorie sociali e gli orti sociali urbani o i servizi educativi e di inclusione sociale, essa e’ stata finora appannaggio quasi esclusivo del terzo settore che, accanto alla salute e al benessere della persona, ha intuito da tempo anche il potenziale reddito ricavabile dalla vendita dei prodotti e dei servizi offerti. L’agricoltura vista, quindi, come risposta alla crisi globale, che serve a unificare bisogni, identità, tutele per tutti i cittadini indipendentemente dalle loro abilità, ma anche generatrice di reddito. Un tipo di attività che valorizza il lavoro come elemento fondante di una società più giusta e che, infine, e’ indirizzata ad una produzione etica e sostenibile dal punto di vista sociale, economico e ambientale. Non a caso tutte le oltre 1000 esperienze di agricoltura sociale in Italia, adottano sistemi di coltivazione biologica, a basso impatto ambientale, e utilizzano piante e semi delle varietà tipiche locali al fine di tutelare e valorizzare la biodiversità agraria del territorio circostante.
Se ormai in Italia esiste, quindi, un’estesa gamma di realtà che praticano agricoltura sociale con modelli positivi ed interessanti di inclusione per un vasto numero di soggetti, va riconosciuto che si tratta di un fenomeno cresciuto nell’ambito del welfare e delle politiche sociali, poco noto agli operatori del comparto agricolo, che anzi hanno dapprima guardato queste realtà con malcelata ironia e poi con sospetto per una possibile competizione commerciale.
Eppure, l’agricoltura sociale trova il suo primo riferimento legislativo nella legge di orientamento in agricoltura del 2001 (d.lvo 228/01), che ha ridefinito in senso estensivo il concetto di attività agricola recependo il concetto di “multifunzionalità” e introducendo così una nuova e più estesa definizione di imprenditore agricolo che sostituisce quella dell’art. 2135 del codice civile. Viene ampliato per la prima volta il concetto di attività agricola, estendendo la gamma delle “attività connesse”, di quelle attività cioè che sono sussidiarie e collaterali rispetto all’attività agricola che resta ovviamente quella principale. Attività sussidiarie nel contesto di una visione più moderna e più ampia delle funzioni dell’agricoltura: attività agrituristiche, ricreative, didattiche, culturali e appunto sociali.
Ma mentre attività come l’agriturismo, la vendita diretta, la trasformazione aziendale dei prodotti agricoli, l’offerta di servizi speciali in ambito locale, sono andate nel corso degli anni affermandosi e consolidandosi, l’agricoltura sociale, per la sua naturale complessità, è rimasta ad esclusivo appannaggio della cooperazione sociale. Secondo un’interpretazione, dal sottoscritto considerata superficiale e limitata, di alcuni pseudoesperti della materia, l’agricoltura sociale va intesa come turismo rurale aperto a tutte le fasce di disabilità, per avere l’azienda agricola adeguato l’accoglienza alle norme in vigore.
La recente norma quadro sull’agricoltura sociale (la Legge n. 141/2015), primo tentativo legislativo per fornire una cornice di regole al fenomeno, individua nelle imprese agricole i soggetti protagonisti del comparto, insieme sì alle cooperative sociali, ma a patto che l’agricoltura e il reddito da tale esercizio ricavabile sia una parte non minoritaria del fatturato complessivo della cooperativa. Il legislatore ha immaginato che i tempi fossero maturi per l’affermazione di questa nuova funzione offerta alle imprese agricole multifunzionali, in considerazione della loro consolidata esperienza nel campo dell’accoglienza, come per esempio le fattorie didattiche e le aziende agrituristiche. Questa norma, non ancora applicata in carenza dei decreti attuativi che dovrà emanare il Ministero delle Politiche Agricole, è in parte contestata dal terzo settore, in relazione al fatto che il reddito ricavabile dall’agricoltura, preso a base per il riconoscimento degli operatori di AS, non potrà mai paragonarsi ai sussidi ricevuti per i servizi socio-sanitari svolti dalla cooperazione sociale.
Tale impasse non rallenta certo il processo di diffusione delle pratiche di AS in tutte le aree rurali (e peri-urbane agricole), ma la mancanza di regole alla lunga potrebbe generare dissidi tra ambiti e settori complessi e in passato anche distanti. L’inserimento, inoltre, nella programmazione dello sviluppo rurale 2014-20, degli interventi di inclusione sociale che vede beneficiarie le imprese agricole, genererà una crescita di interesse e una maggiore attenzione da parte di queste ultime verso il settore dell’AS, visto anche come una possibile innovazione per la propria attività.
Affrontare il tema dell’AS per un’azienda agricola significa però imbattersi subito in problemi di contenuto e di autorizzazioni. Le cooperative sociali che già praticano AS, infatti, prestano da tempo servizi assai differenziati a soggetti a diversa fragilità per attività formativa e di inserimento lavorativo, avendo conoscenza delle norme ma anche perchè soggetti per natura destinatari di convenzioni con le istituzioni pubbliche che presiedono alle politiche sociali, socio-sanitarie e lavorative. D’altro canto però, gli operatori del terzo settore, hanno scarsa conoscenza e competenza in materia di agricoltura, un comparto sempre più strutturato, non solo nel campo delle pratiche produttive ma anche per l’enorme carico di norme e circolari europee, nazionali e regionali che regolano l’esercizio e le attività del settore primario.
Da qui l’importanza e l’esigenza per tutti i soggetti giuridici del sistema (imprese agricole, cooperative sociali, volontariato, Asl, servizi sociali, ricerca, ecc.) di lavorare in connessione, affrontando cioè il tema dell’AS in una logica di cooperazione, di collaborazione e di coordinamento, che ponga in risalto innanzitutto la formazione e l’aggiornamento degli operatori per migliorare il quadro di conoscenze, al fine di compiere scelte oculate sulle azioni e i servizi che ciascuna azienda agricola può offrire/erogare e poi la tipologia e l’entità degli investimenti da affrontare. Nel sistema dell’AS possono, e forse debbono, convivere attività ed esperienze diverse senza problemi di sovrapposizione, contrapposizione o competizione tra soggetti economici.
Inoltre, in considerazione del fatto che il settore al momento è popolato ancora da poche entità operative, sarebbe opportuno poter generare anche una RETE regionale dei gruppi di attività, senza attendere l’istituzione di tavoli regionali, spesso inconcludenti e autoreferenziali. La Rete, anche solo informale, facilita la connessione tra conoscenze e competenze diverse rispondendo così anche all’esigenza della riorganizzazione dei sistemi di welfare.
La nuova legge regionale in corso di esame al consiglio regionale e che dovrà recepire gli indirizzi e i dettati della legge 141/2015, dovrà contribuire alla costruzione di un sistema di servizi condiviso e funzionale in grado di trovare soluzioni non solo per quelle esperienze di agricoltura sociale nelle aree rurali, ma anche per tutte quelle, e sono tante, che vanno creandosi negli spazi agricoli urbani e periurbani, forse le aree dove più si avverte l’esigenza di un nuovo welfare, inclusivo e ambientalmente sostenibile.

Italo Santangelo

 

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