Cultura

Seaspiracy: il documentario di Netflix contro la pesca

Netflix ne ha combinata un’altra delle sue. Da pochi giorni sulla piattaforma streaming è uscito Seaspiracy, un documentario contro la pesca, che ha già creato grandi polemiche degne di nota.

E’ riuscito ad entrare in pochissimo tempo nella Top 10 di ben 32 paesi, tra cui l’Italia.

Ma perchè ha creato tanto clamore?

Bryce Stewart, biologa inglese, riassume semplicemente il problema legato al documentario: “Il film mette in luce aspetti importanti? Sì. Lo fa con un metodo ingannevole? Sì, dal primo minuto”.

Già il titolo ci fa intuire qualcosa, infatti seaspiracy è l’unione delle parole SEA (mare) e CONSPIRACY (cospirazione). Ali Tabrizi ha diretto e interpretato questo documentario per trovare una risposta ad una domanda continua: fa davvero male all’ambiente la pesca incontrollata? Il suo intento era mostrare l’impatto disastroso della pesca industrializzata sull’ecosistema marino.

Il film si propone, infatti, di affrontare molte problematiche riguardanti gli oceani. Nega l’esistenza di pratiche sostenibili di pesca e individua nella totale rinuncia al consumo di pesce l’unica reale modalità per proteggere gli oceani.  Ma non è così. La Marine Stewardship  Council, in quanto principale programma di certificazione di sostenibilità ittica a livello mondiale, non ha voluto rilasciare interviste per il documentario ma in una nota ha precisato che la pesca sostenibile alla base del proprio programma lascia in mare abbastanza pesci affinché lo stock possa riprodursi potenzialmente all’infinito, minimizzando il più possibile il proprio impatto sull’ecosistema.

Ma andiamo con ordine. Come prende vita questo film?

Il regista inizia con il racconto della sua vita, in quanto protagonista e regista del documentario, e spiega l’immenso amore che lo lega all’ambiente marino che definisce “Un mondo sommerso pieno di bellezza, colori e vita”.

La parola ricorrente in tutto il film? Morte.  Un vero e proprio pugno al cuore capace di toccare l’animo degli spettatori che vengono rapiti da questi viaggi, reportage, statistiche, interviste e registrazioni nascoste.

La prima tappa del film è il Giappone, la Baia di Taiji,  qui ogni anno si attirano migliaia di delfini che vengono uccisi poi dai pescatori perché si nutrono di pesce, e considerati per questo veri e propri “concorrenti” della pesca. I metodi di uccisione per questi animali sono davvero violentissimi.

Ali però non si ferma lì, e prosegue il suo viaggio tra le isole Far Oer, la Thailandia, Hong Kong e varie zone dell’Africa.

Tutto ciò che scopre, affiancato da tutto ciò che dichiarano le persone che intervista fa intendere un’unica cosa: smettere di mangiare pesce scegliendo un’alimentazione vegetale.

Ed è proprio questo che ha fatto scatenare gli utenti della reta. Molte influencer e molti VIP hanno pubblicamente dichiarato che dopo aver visto questo film non mangeranno mai più pesce.

Ma come sempre, non è tutto oro quel che luccica. Molti intervistati hanno fatto un passo indietro e hanno dichiarato che tutto ciò che hanno detto è stato manipolato e utilizzato con particolari tagli del regista per dare rilievo alla tesi del film senza però essere spiegate completamente.

C’è da dire però che il documentario tratta temi a molti sconosciuti. Si sente parlare di pesca accessoria o di tratta di essere umani sui pescherecci. Pesca sostenibile, il problema delle reti lasciate nei mari, gli allevamenti ittici intensivi, la strage delle balene, dei delfini e degli squali e tante altre tematiche di cui se ne discute sempre troppo poco.

Tuttavia giornalisti e associazioni ambientaliste (ma anche gli stessi operatori del settore ittico) hanno iniziato a mettere in dubbio le affermazioni del documentario. Statistiche sbagliate, altre isolate dal contesto. Dati inesatti oppure non riportati con le dovute revisioni.

Per tentare di capire come stanno effettivamente le cose, senza farsi condizionare più di tanto dagli eccessi scandalistici in cui spesso indulge il giornalismo d’inchiesta, conviene affidarsi alle informazioni fornite dalla FAO, l’organizzazione delle Nazioni Unite che pubblica periodicamente un rapporto sullo Stato della Pesca e dell’Acquacoltura Mondiale, conosciuto come SOFIA.

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