Qui ed ora

Tradizione e innovazione nel Pd

Di Ernesto Nocera

Voglio cominciare con qualche citazione. Giordano Bruno: Non havvi cosa vecchia che non fussi stata nova né cosa nova che non diventerà vecchia. Karl Kraus (attore e scrittore austriaco dei primi del Novecento): Debbo dare una notizia ai buoni viennesi: una volta la vecchia Vienna era nuova! Infine, (dal Sole 24 Ore) una scritta in una cantina delle Langhe: Una tradizione non è che una innovazione riuscita.
E con questo cosa vuoi dire? Osserverà qualcuno. Ebbene voglio semplicemente entrare nella fiera polemica in atto entro il PD (ma anche fuori) sulla negatività del vecchio e sulla necessità di fare piazza pulita del passato per costruire un nuovo radioso futuro affidato alle mani di nuovi gruppi dirigenti.

Vorrei semplicemente temperare gli entusiasmi e far notare che l’alternanza fa parte del ciclo della vita. Perché, come dice Cesare Pascarella nella “Scoperta de l’America”, Vedi noi? Mò stamo a fà baldoria nun ce se penza e stamo all’osteria; Ma invece semo tutti ne la Storia!

Non sono così cattivo da ricordare ai miei giovani (?) contestatori che l’unico rimedio per evitare le negatività della vecchiaia è abbandonare anzi tempo “hanc lacrimarum valle”. Non mi sembra una buona soluzione. Essi, anche se non lo sanno, stanno creando una tradizione e fra vent’anni si ritroveranno in un club a ricordare con nostalgia “I bei tempi della Leopolda”. In ogni caso sappiano che nelle prime classi delle elementari già ci sono giovani esseri che stanno affilando le loro unghiette per sbranarli fra una ventina d’anni. La storia è così. Va avanti mai per linea retta, ma in essa ci sono delle costanti.  Risalendone il corso troviamo ad esempio che nella Roma imperiale si rimpiangevano i tempi d’oro della Repubblica mentre all’epoca della Repubblica si rimpiangevano i tempi d’oro della fondazione. Così via risalendo fino ad arrivare alla assurda conclusione che la vera età dell’oro è stata quella in cui l’uomo era raccoglitore di radici che contendeva alle fiere. Questo per dire: per favore smettiamola con le banalità.

Ognuno di noi ha avuto avrà una funzione, un compito nella vita: esso si realizza nella situazione data e mettere le braghe alla Storia è un’operazione stupida. E’ meglio ritornare alla politica…
A parte le contingenze il dibattito ruota intorno alla definizione di partito ed alla sua natura: liquida, solida o effervescente.
Spiace ripetere cose ovvie ma la democrazia moderna nasce con i partiti e, secondo gli studiosi che si occupano della questione, senza partiti non esiste democrazia (vedi on line il rapporto 2013 di I.D.E.A). Aggiungo, sempre per memoria, che nella storia dell’Italia unita c’è stato un periodo originario in cui i partiti non c’erano e in cui la politica era dominata dal trasformismo dato che mancavano strutture organizzate con una ideologia comune. I partiti politici, così come sono modernamente intesi, sono nati in Italia per effetto dell’entrata in campo delle organizzazioni dei lavoratori. Il primo partito moderno  italiano fu quello socialista e quando i cattolici entrarono in campo i popolari crearono un loro partito che a quello schema si ispirava.
Poiché la parola “partito” deriva da parte è ovvio che un partito nasce per rappresentare una parte: la più ampia possibile, ma una parte. Perciò la prima domanda è: Il PD chi vuole rappresentare? Quali ceti? Quali interessi? Data la sua dichiarata appartenenza alla socialdemocrazia europea è naturale che esso debba riferirsi al mondo del lavoro e della produzione facendo attenzione all’alleanza fra i lavoratori, le professioni e i ceti medi produttivi. Insomma un onesto partito riformista socialdemocratico per il quale il mondo del lavoro venga prima di tutto. Lo stiamo facendo? Ho qualche dubbio se qualche dirigente parla di “imprenditori vessati dai sindacati” e qualche altro sostiene che la CGIL va asfaltata.
Infine la struttura deve essere liquida solida o effervescente? Ovvero senza appartenenze dichiarate e sottoscritte oppure no? Faccio notare che le organizzazioni che resistono al tempo sono quelle strutturate, con una dirigenza che si rinnova e con una territorialità permanente. Secondo voi la chiesa cattolica avrebbe resistito duemila anni adattandosi con flessibilità alle mutazioni della storia se non avesse avuto una struttura permanente? Adesso non fate finta di non aver capito.

La struttura cui penso deve avere una base strutturata in cui l’adesione è certificata da un documento, dalla contendibilità della dirigenza e dal metodo democratico nella vita interna. Tutto questo non ha niente a che fare con l’illusione informatica che molti sostengono. Tutti i partiti socialdemocratici europei hanno struttura simile. Perché proprio noi dobbiamo essere originali? In Italia c’è un partito semiliquido: il 5 Stelle. In esso una sola cosa è sicura: comandano solo Grillo e Casaleggio. Gli altri sono al massimo dei portavoce. E’ questo il modello? Si dice: ma senza strutture hanno avuto un brillante risultato elettorale. Sta bene ma che uso ne hanno fatto? Hanno inciso sulla politica nazionale? NO! E allora? E’ ovvio che a questo punto occorre un congresso di rifondazione per avere un partito in cui tutte le voci abbiano pari dignità. Debbo per forza ricordavi che il Labour Party è una organizzazione in cui convivono troskisti e lib-lab e che si accinge a vincere le elezioni in Gran Bretagna? Credete forse che la democrazia consista solo nel chiamare periodicamente i cittadini a metter una croce sulla scheda e negli intervalli tutti a casa parlare di calcio mentre le menti eccelse si fanno carico della guida del Paese? Et de hoc satis.

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