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Avellino piange l’indimenticato sindaco Antonio Di Nunno

Onesto e perbene. Probabilmente i due aggettivi che più ritornano nei messaggi di cordoglio che da ore semplici cittadini, amministratori, politici, uomini del sindacato e delle istituzioni stanno indirizzando all’indimenticato sindaco di Avellino, Antonio Di Nunno.

L’ex primo cittadino, alla guida del capoluogo irpino per quasi due consiliature, dal 1995 al 2004, primo a essere votato con elezione diretta, si è spento nella sua abitazione avellinese. Era malato da tempo, già nel 2001 lo colpì un ictus che minò la sua salute, ma quei problemi non gli avevano fatto smarrire la passione per la politica e per la sua città: continuava a partecipare a incontri pubblici, a dare il suo contributo mai banale alla discussione su Avellino, a scrivere sulle colonne de “Il Mattino”. Giornalista della testata regionale Rai, Di Nunno era stato candidato a sindaco nel 1995 dal centrosinistra. Democristiano, a quel tempo militava nella Margherita; chiuse la sua prima campagna elettorale con Veltroni accanto a sé sul palco annunciando la futura giunta; ma quel centrosinistra provò a scaricarlo qualche anno dopo con una sfiducia firmata da 19 consiglieri (14 del suo partito, 5 dei Ds) che lo costrinse alle dimissioni. Di Nunno preferì andare via sbattendo la porta con parole al veleno nei confronti di Ciriaco De Mita e Nicola Mancino per “l’operazione canaglia” che avevano architettato.

Gli avellinesi però quel sindaco non lo hanno mai scaricato. Per la sua onestà, per il suo essere un uomo perbene, per l’umanità e la gentilezza dimostrata a tutti, per la disponibilità ad ascoltare i suoi concittadini, per l’etica che ha caratterizzato la sua azione amministrativa. Anche per quelli della provincia, il nome di Di Nunno ha sempre evocato ricordi positivi. A dieci anni dalla conclusione della sua avventura politica di sindaco, dell’Avellino di Di Nunno è rimasta la nostalgia di giovani e meno giovani che in quel decennio trovarono in lui un punto di riferimento e una speranza, un collante per una comunità altrimenti smarrita. Trovarono soprattutto doti umane e capacità amministrative che oggi appaiono rarità, simboli di un tempo e di un modo di fare politica e gestire la cosa pubblica che sembra non esistere più, in cui l’interesse della città viene prima dell’interesse partitico o personale. Erano gli anni in cui Luigi Anzalone siedeva a Palazzo Caracciolo, gli anni del sogno di un’Avellino “città giardino” senza auto e con tanti spazi verdi; quelli in cui l’Ulivo muoveva i primi passi e la tradizione politica del cattolicesimo popolare incrociava il riformismo di una sinistra cittadina in salute e nella quale le divisioni ancora non erano emerse.

Si dimise perché non volle scendere a compromessi e ben presto molti dei suoi progetti furono sconvolti, altri invece sono diventati patrimonio della città. Come il teatro comunale “Carlo Gesualdo”, di cui scelse il nome e da lui inaugurato. Da amministratore capace, seppe dialogare come pochi con la Regione Campania, allora presieduta da Antonio Bassolino, riuscendo a smuovere per quell’Avellino che amava in modo incondizionato ingenti finanziamenti e lavorando in virtù di una visione strategica di lungo respiro.

Mai timoroso nel manifestare il suo dissenso, lo aveva fatto anche di recente, alle Europee dello scorso maggio, quando in polemica con con il PD, che non aveva espresso nessun candidato irpino, decise di appoggiare con la sua associazione “Libera città” la candidatura dell’irpino Franco Arminio e la lista di Tsipras.

In un’intervista di qualche mese fa il sindaco della gente, probabilmente l’ultimo sindaco della gente, ammoniva criticamente di “ricominciare da capo, su tutti i fronti”. A proposito di Avellino diceva che “sta perdendo sempre più ruolo, significato e peso tipici di un capoluogo”, che bisognava lasciar “perdere opere pubbliche completamente fuori luogo” e “concentrarsi sull’acqua e sul verde”.  Duro anche il suo giudizio sui partiti, “attualmente privi di una coscienza politica cittadina e incapaci di costruire un pensiero sull’urbanistica, su un futuro della città”, con l’auspicio di ritrovare personalità “finalmente pensanti, qualcuno che abbia le idee chiare e le sappia trascrivere dalla testa sulla carte e che soprattutto la sappia difendere dagli interessi sotterranei, occulti”.

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