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Dalla peste al Covid, passando per il colera

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Dalla peste al Covid, passando per il colera

                  

La promiscuità, il sovraffollamento, il mancato rispetto delle più elementari regole dell’igiene sono state nei secoli le cause primarie del diffondersi nella città di Napoli di disastrose epidemie, che talune volte hanno falciato quote cospicue della popolazione.
Lungo i secoli bui del Medioevo le epidemie si susseguivano e si sovrapponevano procurando migliaia di decessi: difterite, tifo, malaria, vaiolo, epatite e salmonellosi hanno imperversato a lungo in città ed in provincia.
Tra le epidemie più disastrose bisogna ricordare quella di peste del 1191, durante l’assedio di Enrico lo Svevo con migliaia di morti, anche se la vera peste fu quella del 1656, che dimezzò la popolazione, spazzando via un’intera generazione di pittori, mentre i pochi superstiti ne hanno immortalato scene indimenticabili, come Carlo Coppola che ci fornisce uno spaccato del triste lavoro dei monatti (fig.1), Domenico Gargiulo, che ci ha fornito un’immagine grandiosa dell’odierna piazza Dante (fig.2) con una marea di moribondi, mentre squadre di monatti compivano il loro triste ufficio o Luca Giordano il quale ci mostra San Gennaro (fig.3) nel pieno della sua attività di protettore della città e nel basso della composizione ci restituisce il particolare straziante di un bambinello abbandonato al suo destino dalla madre morta, che cerca disperatamente nutrimento nelle mammelle di una puerpera da poco spirata. E concludiamo con Mattia Preti che ebbe l’incarico di eseguire sulle porte della città dei giganteschi ex voto di ringraziamento per la cessazione del morbo (fig.4–5).
Anche il Settecento fu triste sotto il profilo delle epidemie e nell’Ottocento, dopo l’Unità d’Italia, in poco più di venti anni Napoli venne colpita ben cinque volte dal colera, pagando nel 1865 un tributo di oltre 6000 vittime alla furia del morbo ed ancora di più l’anno successivo, fino a quando, dopo l’ulteriore disastrosa epidemia del 1884, si raccolse l’urlo disperato della Serao: ”Bisogna sventrare Napoli” e si diede mano alla colossale opera del Risanamento, ridisegnando interi quartieri.
Del persistere delle epidemie molti abitanti davano la colpa ai nuovi amministratori al punto che in alcuni ospedali circolava il demenziale ritornello: “Si vulite ca cacammo tuosto, Datece ‘o Rre Nuosto”.
Il colera ha infuriato incontrastato per decenni, complice il degrado in cui versava gran parte della città antica, servita da un acquedotto, che chiamare vergognoso significava fargli un complimento, perché in molti punti era inquinato dai liquami fognari. Anzi in quasi tutti i bassi si utilizzava per bere e per cucinare l’acqua di un pozzo, che “fraternizzava” con gli escrementi che scolavano verso la cloaca da un orribile buco, il quale fungeva in ogni abitazione da cesso, permettendo il passaggio verso il basso e l’esterno di feci ed urine e verso l’alto e l’interno di topi e zoccole, da cui la necessaria presenza in ogni basso di una colonia di gatti, che cercava disperatamente di opporsi al proliferare dei ratti.

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