Economia e Welfare

Donne e madri in carcere: gli effetti di un’istituzione totale sui minori

Il carcere è congegnato secondo regole e meccanismi tipicamente maschili perché frutto di un’elaborazione culturale maschile: le presenze femminili negli istituti di pena al 30 aprile 2020 sono- in base al XVI Rapporto dell’Associazione Antigone- 2224 su un totale di 53904 ristretti. Le detenute donne rappresentano il 4, 13% della popolazione ristretta, con un calo considerevole (-17%) dovuto all’attuazione delle misure intraprese per il contenimento del contagio da Coronavirus dallo scorso marzo.

Gli istituti di pena femminili presenti in Italia sono quattro, tra cui uno a Pozzuoli, in provincia di Napoli. Inoltre ben 1705 detenute sono ospitate in apposite sezioni femminili nelle carceri maschili, tra cui la più grande è quella che si trova nell’istituto di Bollate.

La vita delle donne in un’istituzione totale maschile non è semplice, ancor di più se esse sono madri. L’articolo 275 del codice di procedura penale dispone il divieto di custodia cautelare in carcere per donne incinte o madri di prole di età inferiore a 6 anni con loro convivente, a meno che non sussistano esigenze cautelari di eccezionale rilevanza. Tuttavia, le detenute con prole presenti nel circuito penitenziario sono, al 30 aprile 2020, 34 (con 40 figli a carico) e non solo che scontano pene definitive (erano ben 54 solo 2 mesi prima).

L’articolo 11, comma 9, dell’ordinamento penitenziario, riconosce la genitorialità come diritto, sancendo l’importanza per i bambini della conservazione dei propri legami familiari essenziali per lo sviluppo. Riconosce, al contempo, alle madri la possibilità di vivere la maternità in carcere per i bambini fino a tre anni, tuttavia con una scarsa autonomia: l’ambiente non è stato per nulla modificato in base a questa previsione, per cui i modi e i tempi dell’accudimento sono quelli che il carcere impone alle donne, con tutte le conseguenze che ciò avrà sui minori.

La legge n°40 del 2001 (legge Finocchiaro), ha introdotto modifiche al codice di procedura penale, favorendo l’accesso alle misure alternative alla detenzione per le madri con figli a carico, soluzione molto più congeniale perché i bambini possano crescere in un ambiente familiare. Tuttavia, il problema continua a sussistere per tutte quelle donne che si trovino in una condizione di marginalità, come rom, straniere o con situazioni familiari difficili, che non hanno un alloggio idoneo in cui scontare la propria pena. In Italia attualmente si trovano 5 ICAM- Istituti a custodia attenuata per detenute madri- che nascono dall’esigenza di offrire una soluzione a tutte quelle madri che non possano e vogliano scontare la propria pena accudendo i propri figli. Per ridurre al minimo gli effetti negativi sul minore, la struttura, pur essendo detentiva e parte dell’ordinamento penitenziario, è concepita secondo le caratteristiche generali delle comuni abitazioni, con la finalità di ospitare il minore in un contesto del tutto estraneo all’ambiente propriamente penitenziario. L’Autorità giudiziaria può autorizzare l’accesso all’ICAM per: madri di prole di età non superiore a 6 anni (la soglia è innalzata rispetto ai 3 iniziali), destinatarie di provvedimenti di custodia cautelare ai sensi dell’articolo 185 bis del codice di procedura penale; madri di prole di età non superiore a dieci anni, ammesse alla detenzione domiciliare speciale ai sensi dell’articolo 47 quinquies, comma 1 bis, dell’ordinamento penitenziario. A Lauro, nel 2016, l’Istituto a custodia attenuata per tossicodipendenti è stato trasformato in ICAM, dove sono ospitate 6 ristrette, in base all’ultimo rapporto annuale del Garante campano delle persone private della libertà Samuele Ciambriello.

La legge 62 del 2011 ha poi offerto un’ulteriore possibilità a tali figure: la casa famiglia protetta, in cui si offre un alloggio a tutte le donne madri che non possano accedere a misure alternative ma che così avranno la possibilità di condurre, con i propri figli, una vita quotidiana ispirata a modelli familiari, tenuto conto del prevalente interesse del minore. Al momento, le case famiglia protette sono soltanto 2 in Italia, a Roma e Milano: la difficoltà nella loro realizzazione e gestione si spiega con il fatto che esse non sono sotto la responsabilità del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria e non ricevono fondi statali, bensì dovranno essere finanziate e organizzate da enti locali e privati. Sicuramente quest’ultima rimane comunque la soluzione preferibile per il bene del minore, che rischia altrimenti di essere privato della propria infanzia e di essere costretto a scontare una pena senza però aver commesso alcun reato, ma con la sola colpa di avere una madre detenuta.

L’ambiente opprimente del carcere influenzerà negativamente lo sviluppo psichico e fisico del minore, oltre che la relazione madre-figlio che finirà per essere simbiotica ma anche rischiosa perché esclude qualsiasi altra relazione sociale all’esterno. La detenzione della prole con le proprie madri è un problema da risolvere e risolvibile attraverso l’accesso e l’implemento di misure alternative alla detenzione che possano offrire spazi familiari di crescita e sviluppo a minori che non hanno alcuna colpa e non meritano di essere privati della propria infanzia e dei propri diritti umani basilari.

 

A cura di Giusy Santella

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