IL CARCERE CHE NON C’E’. UNA RIFLESSIONE DEL CAPPELLANO DI POGGIOREALE DON FRANCO ESPOSITO.

Mi piace parafrasare la canzone di Eugenio Bennato “l’isola che non c’è” pensando al carcere che purtroppo c’è. Infatti nella nostra realtà sembra da folli sognare un carcere senza sbarre ne cancelli con poche guardie e tanti educatori, un carcere dove la rieducazione e il reinserimento non siano parole vuote ma obiettivi seri da raggiungere, un carcere dove le famiglie dei carcerati siano coinvolte in un percorso di risocializzazione e le vittime dei reati abbiano un posto privilegiato nel recupero del condannato.
Un carcere dove la certezza della pena faccia spazio alla certezza del recupero. Nella canzone di Bennato ci sono delle indicazioni da seguire.. “Seconda stella a destra questo è il cammino e poi diritto fino al mattino” qual’ é la stella da seguire per raggiungere il carcere che non c’è .. la stella è la realtà che abbiamo davanti agli occhi ma che spesso non vediamo o non ci lasciano vedere, e cioè il fatto che il carcere che c’è produce l’80 per cento di recidiva, è terreno fertile dove cresce la delinquenza, focolaio di infezioni e patologie psichiatriche, percentuali di suicidi impressionanti e autolesionismo crescente, Nonché luogo di frustrazione per coloro che svolgono un lavoro estenuante in condizioni al limite della sopportazione e a rischio tante volte anche della propria incolumità. Bennato nella canzone mette anche in guardia da un grande pericolo: “ la ragione ti ha un po’ preso la mano ed ora sei quasi convinto che non può esistere un’isola che non c’è” per noi più che ragione si tratta di inganno, quello che ti fa pensare che il carcere reale ti dia sicurezza, mentre invece è il contrario. L’inganno di una razionalità che ti fa credere che l’unico modo per pagare la pena sia questo carcere che c’è mentre il carcere che non c’è anche se fa scendere la recidiva a meno del 10 per cento è una pazzia.
Ebbene il carcere che non c’è io lo vivo quotidianamente, e un piccolo segno (la casa Liberi di volare) dove fino ad ora decine e decine di persone hanno finito la loro pena in un luogo senza guardie ne cancelli, in un respiro di famiglia, in un possibile e reale reinserimento, dove la rieducazione non è mai ti dico io quello che devi fare, ma dove sei aiutato a scoprire il buono che c’è in te e dove col buono cresce il desiderio del bene e di una vita legale da realizzare sapendo che non sei solo. È un piccolo segno ma che ti dice che il carcere che non c’è non è fantasia… e di questi segni in Italia ce ne sono tanti. Sono queste le stelle (sempre pensando alla canzone di Bennato) che chi gestisce la sicurezza di una società deve guardare.
L’ultima strofa della canzone mi ispira coraggio per continuare a sperare anche se si è in pochi, anche quando qualcuno pensa che il carcere che non c’è è una pazzia : “E ti prendono in giro se continui a cercarla ma non darti per vinto perché chi ci ha già rinunciato e ti ride alle spalle forse è ancora più pazzo di te.”

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