LIBERARE ED AIUTARE A LIBERARSI DAL CARCERE. LA RIFORMA APPROVATA: UN PASSO IN AVANTI.

Come liberare? Come aiutare a liberarsi? Come superare la necessità del carcere, in che modo possiamo, insieme, costruire un percorso comune, non solo nella nostra comunità, ma nella società intera che sempre più invoca il carcere per ogni forma di problema sociale? Provo qui di seguito a fornire alcuni elementi che spero possano essere utili ad abbozzare una traccia di risposta a partire dalla mia trentennale esperienza nel settore e nel ruolo istituzionale di garante campano dei detenuti.
Chiunque di noi abbia avuto esperienza diretta a contatto con le persone detenute sa quanto sia fondamentale le costruzione di una relazione autentica e di ascolto che non può essere delegata alle figure istituzionali, perché nulla può sostituire il legame che si crea nel dialogo tra persone diversamente libere e nell’esercizio della funzione pastorale, educativa, di volontariato o di controllo della magistratura.
Perché torna il carcere? Perché i dati indicano che dopo cinque anni in cui avevamo assistito a una lieve, ma progressiva, riduzione dei numeri della popolazione detenuta si registra una inversione di rotta. Siamo tornati a registrare 58.000 presenze, se ne contavano 55.00 nell’ottobre del 2016. In Campania su una capienza di 6157 posti, ospitiamo 7195 persone, di cui 329 donne. I detenuti stranieri sono 948, pari al 12% della popolazione detenuta. Per quanto riguarda la posizione giuridica, i detenuti condannati in via definitiva sono solo 3654, in attesa di giudizio sono 1415, i condannati in via non definitiva sono 1678. Complessivamente in Campania vi è circa il 20% della popolazione nazionale detenuta. E poi ci sono i 69 ristretti nel carcere militare di Santa Maria Capua Vetere( polizia di stato, finanzieri, carabinieri, polizia penitenziaria). Ai 60 ristretti nel carcere minorile di Nisida se ne aggiungono i 39 di quello di Airola, per lo più giovani adulti dai 18 ai 25 anni, e i 220 presenti nelle comunità residenziali.
Il recente provvedimento del Governo sulla riforma penitenziaria è un passo in avanti per umanizzare il carcere, renderlo costituzionale, perché alla persona che sbaglia deve essere tolto il diritto alla libertà e non alla dignità. Ci sono più misure alternative al carcere, superando automatismi e preclusioni, tranne che per i condannati per mafia e terrorismo. Attenzione particolare viene data alla socialità del detenuto. In linea, inoltre, con le regole europee, si pone in risalto il diritto del detenuto a essere assegnato ad un Istituto prossimo alla residenza della famiglia. Importanti anche le novità sulla sanità in carcere, con l’equiparazione tra infermità fisica e psichica. Cambia il sistema disciplinare interno, c’è la riapertura dei canali per i permessi premio e i benefici bloccati dalla legge Cirielli. Un ruolo importante viene assegnato al volontariato in carcere. Una previsione importante riguarda il regime di semilibertà. Ci sono misure alternative al carcere con lavori socialmente utili, di pubblica utilità, più possibilità di arresti domiciliari per chi deve scontare solo qualche anno. Purtroppo alcune norme essenziali sono rimaste al palo, come il lavoro, la giustizia minorile, quella riparativa e il tema dell’affettività in carcere.
Anche se sembra una riforma morta in culla, approvata in zona Cesarini, quasi di nascosto, rappresenta un grande passo in avanti di civiltà rispetto ad una giustizia che spesso è uno strumento di vendetta. Uno Stato che si vendica su un detenuto è uno Stato che educa alla cattiveria, alla vendetta, alla recidiva. Il nostro si fonda sul carattere rieducativo della pena. Il carcere duro e puro conduce, una volta fuori, alla reiterazione del reato. Adesso l’80 dei detenuti ha la recidiva. Quindi il carcere è fallito!
Anche in Campania, come testimoniano centinaia di esperienze, il carcere rieducativo inibisce il crimine assai meglio del carcere punitivo. Liberare ed aiutare a liberarsi dice la riforma. Qui da noi un mondo del volontariato silenzioso e discreto, interviene già da anni, nei nostri istituti di pena con spirito costruttivo e animato dalla volontà di dare sostanza al principio costituzionale che stabilisce che le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato.
Io, come Garante, mi batterò con loro e con i diversamente liberi per trovare un varco oltre le mura dell’indifferenza e la concezione vendicativa della giustizia.
*Garante campano delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale.

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