Economia e Welfare

Galdiero: «La Cgil non decide le elezioni, ma Piazza San Giovanni non rivoterà PD»

L’avevamo lasciata nello studio di “In mezz’ora” ospite di Lucia Annunziata, dove il suo carattere deciso era venuto fuori subito con il rischio di metterla in cattiva luce al cospetto della dialettica pacata e televisivamente corretta dei comunicatori filo-renziani che le erano contrapposti. «Io credo in quello che faccio e mi prendo la responsabilità di quello che dico», ci confessa al telefono. A parlare è Rosita Galdiero, segretario generale Cgil di Benevento, 36 anni, una dei tre giovani scelti da Susanna Camusso per gestire il palco di Piazza San Giovanni lo scorso 25 ottobre a Roma. Con lei abbiamo parlato di riforma del Lavoro e Regione Campania.

Il Jobs Act non è solo articolo 18 anche se tutta la discussione continua a ruotare attorno a esso. Proviamo a dire cos’altro non le piace, e quindi non piace alla Cgil, di questa legge delega sul lavoro.

«Il problema non è l’articolo 18, questa è solo una strumentalizzazione per distogliere l’attenzione dalle cose serie. Innanzitutto l’articolo 18 è stato già modificato dalla Riforma Fornero due anni fa, ora con la nuova legge resterà solo il reintegro per i licenziamenti discriminatori e cadrà sul lavoratore l’onore economico della prova. Ma ci sono altre due norme dello Statuto dei Lavoratori che sono toccate dal Jobs Act anche se Renzi dice il contrario: si tratta dell’art. 4, relativo alla presenza di dispositivi di controllo sulle catene di montaggio, e del 13 che riguarda il demansionamento. Nel primo caso, la riforma Poletti prevede l’istituzionalizzazione del controllo a distanza nei luoghi di lavoro, ora previsto solo in casi particolari, per ragioni di sicurezza, previa concertazione con le Rsu ed eventualmente pronuncia di un organo terzo. Nel secondo caso si estende la possibilità di ricorrere al demansionamento, attualmente possibile solo per ragioni di salute come via alternativa al licenziamento. Tutto questo cosa ha a che fare con la creazione di nuovi posti di lavoro? Se si vuole sconfiggere il precariato bisogna partire dalla cancellazione di alcune forme contrattuali come il job sharing o il contratto a chiamata».

Quindi in questa Riforma non c’è nulla che la convince.

“Prendiamo i contratti a termine: è stata tolta la casuale, un elemento che ha consentito al sindacato di vincere cause di reintegro per quei lavoratori che riuscivano a dimostrare, come accaduto per Poste Italiane, di essere sistematicamente assunti a termine per risparmiare; inoltre, è stata estesa la possibilità di fare ricorso a questo tipo di contratto fino a nove rinnovi (precedentemente erano tre) della durata di cinque mesi ciascuno. Tutto questo non tutela i lavoratori, ma le aziende; non dà risposte in termini occupazionali, mentre come Cgil crediamo si debbano fare investimenti, lotta all’evasione e tassazione delle rendite. Questo era il senso della piazza del 25 ottobre, anche se c’è  chi preferisce far passare l’idea di una Cgil che vuole difendere il solo articolo 18. Ma in Italia di leggi per licenziare ce ne sono già diverse».

Insomma, non c’è bisogno di iniettare altra flessibilità in uscita dal mercato del lavoro per consentire l’entrata?

«Si parla di modello tedesco o danese, ma il punto è come si accompagna un lavoratore che perde il posto. Altrove c’è una rete, c’è una protezione sociale. Qui invece si va solo nella direzione di un minore costo della manodopera, mentre servono servizi e welfare. Il nostro non è un NO a prescindere, abbiamo fatto contrattazioni come Cgil in aziende in crisi prevedendo soluzioni specifiche  per superare le difficoltà, come i contratti di solidarietà e la cassa in deroga. Ma abbiamo saputo lunedì che il ministro Poletti ha bloccato tutti gli ammortizzatori sociali per mancanza di risorse quindi, anche in presenza di decreti fino al 31 dicembre, al momento non ci sono coperture. Questo come lo spieghiamo alle migliaia di lavoratori che vivono grazie alla cassa integrazione?».

Domenica Maurizio Landini ha detto che “la fiducia che il Governo ha in Parlamento, nel Paese non ce l’ha”. Ma siete proprio sicuri che l’Italia sia dalla vostra parte in questa battaglia? Quel 41% di maggio non dice forse una cosa diversa?

«In quel 41% c’erano dirigenti sindacali e lavoratori che hanno chiesto al PD di non consegnare il Paese al qualunquismo del M5S e di Beppe Grillo. Ma ci sono centinaia di lavoratori che non si sentono più rappresentati da Renzi e se andassimo al voto domani mattina non lo rivoterebbero perché non hanno avuto le risposte che cercavano. Piazza San Giovanni ha votato PD, ma non lo rifarebbe. La Cgil non ha il potere di determinare le vittorie elettorali, ma stiamo dicendo a Renzi “fermati un attimo e rifletti: le leggi continuerai a farle tu, ma noi ti diamo il nostro contributo”. Dobbiamo pure ricordare che il premier non ha vinto elezioni, ma è al Governo anche grazie a un gruppo dirigente che ha preso il 25% e metterlo all’opposizione non fa bene al Paese. Il malcontento oggi si può ancora gestire, ma quando Renzi dice che andrà avanti per la sua strada, ricorda Berlusconi con la differenza che questi non ha mai mancato di rispetto al sindacato, anzi nel 2004 si dimise».

A proposito di rispetto per il sindacato, lei ha scritto una  lettera all’onorevole Picierno dopo le sue parole sulla Cgil pronunciate nei giorni scorsi. Quello di Pina Picierno è uno dei nomi circolati per settimane come candidato del PD alle Regionali. Lei in quella missiva però è stata molto dura e si è schierata apertamente.

«Confermo quanto scritto e cioè che non sempre il rinnovamento coincide con l’età anagrafica. Nel sindacato ci sono giovani che si sono formati e sono stati valutati nella palestra della vita, che nessuno ha inventato. Ho voluto dire all’on. Picierno di ragionare sulle questioni: la Cgil ha 100 anni di storia ed è il sindacato più trasparente di tutti; le ho voluto anche dire che chi pensa che con 82 euro si possa vivere per due settimane, non mi può rappresentare e non avrà il mio voto perché è lontana dai problemi reali. Inoltre, io credo che ci vuole molta umiltà per presentarsi alla gente tanto più in una regione martoriata come la Campania dove ci sono tante persone che ogni giorno lottano per la legalità. E uno dei mali del nostro tempo è la mancanza di umiltà nelle nuove classi dirigenti».

Un’ultima domanda proprio sulla Campania. La Giunta Caldoro si appresta a chiudere il suo mandato nei prossimi mesi. Qual è il suo giudizio su questi anni in cui il centrodestra ha amministrato la regione?

«Da sannita posso dire che Caldoro è venuto nella nostra provincia solo due volte in occasione di campagne elettorali. Stiamo ancora attendendo una sua risposta sulla riconversione dell’area industriale di Airola attraverso un bando regionale che tarda ad arrivare; Vetrella ci ha completamente isolati, nel weekend non ci sono collegamenti da e verso il Sannio e le altre province, nonostante a Benevento ci sia un sito Unesco. Io ho più volte chiesto le dimissioni del governatore, come quando ci ha fatto perdere l’occasione di avere sul nostro territorio il data center di Poste Italiane. Avrebbe dovuto comportarsi come un padre di famiglia che cura innanzitutto chi è più in difficoltà, invece il giudizio su di lui e la Giunta non può che essere negativo».

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