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Petrolio, i geologi: «Non è corretto demonizzare le trivelle»

Lo abbiamo scritto altre volte. Tra i temi caldi per la politica e i territori, anche nel 2015, ci sarà il petrolio. Argomento che riempie pagine di giornali da mesi, finisce per essere citato in modo non sempre consapevole e spesso a colpi di slogan in dibattiti e convegni, riesce a mobilitare come lo scorso 3 gennaio anche un migliaio di persone schierate sul fronte del NO. Forse poche, ma comunque un segnale che i territori interni della Campania, tra Irpinia e Sannio, mandano a chi governa. Molti meno in verità i SI TRIV conclamati – duri e puri verrebbe da dire – usciti allo scoperto.  L’occasione per provare a capire qualcosa di più sull’argomento è arrivata ieri dalla presentazione della prima edizione del concorso nazionale “AVUS per San Giuliano di Puglia” organizzato a Sant’Angelo dei Lombardi (AV) dall’Ordine dei Geologi per educare alla prevenzione dei danni da terremoto. Tra i relatori Gerardo Lombardi, coordinatore Commissione Protezione Civile dei geologi nazionali, e il professor Domenico Calcaterra.

Dottor Lombardi, esiste un rischio sismico in relazione alle trivellazioni?

«L’argomento è complesso, ci sono diverse scuole di pensiero a livello nazionale e internazionale. In America alcuni studi hanno dimostrato che la tecnica di re-immissione delle acque reflue nel sottosuolo (fracking) può generare dei microsismi. Anche l’Ismes a suo tempo fece uno studio sul punto e rilevò la presenza di microtremori, ma quanto questi fluidi possano generare terremoti significativi per la sicurezza delle popolazioni è tutto da dimostrare. Le distanze, tra le zone in cui avvengono i prelievi del petrolio e quelle in cui si genera un sisma, sono notevoli. Quando parliamo di distanze, ci riferiamo al sottosuolo quindi alle profondità: in genere i terremoti più superficiali si registrano a 5-6 km di profondità, il petrolio viene prelevato a 2-2,5».

Il caso texano viene preso a esempio sia dai No Triv che dai Si Triv: i primi ricordano la chiusura di alcuni pozzi per il verificarsi del fenomeno dei microsismi che lei ha citato; i secondi sottolineano che se si è trivellato lì, lo si può fare anche nelle nostre zone sismiche.

«Il Texas rappresenta un contesto geologico completamente differente e quindi non è possibile fare paralleli. Quando mi sono laureato io andava di moda studiare le correlazioni tra trivellazioni e movimenti della faglia di San Francisco. Ci sono teorie a riguardo, ma è ancora tutto da verificare. Il vero problema è che la società deve chiedersi se è disponibile o meno a subire un gap energetico così grosso rinunciando a ciò che offre il petrolio e facendo affidamento solo su risorse alternative, come eolico o solare. Abbiamo firmato un impegno con l’Ue a raggiungere il 25% del fabbisogno energetico, ma come lo otteniamo? Vogliamo essere ecologisti e abbandoniamo una soluzione che purtroppo inquina, ma ha costi più o meno accettabili rispetto a tutto il resto? Sono risposte politiche queste».

Sull’argomento è intervenuto anche Domenico Calcaterra, docente dell’Università Federico II e membro del Consiglio Nazionale dei Geologi.

Professore, il petrolio è un elemento di sviluppo positivo o meno per le aree interne della Campania?

«Come tutte le risorse naturali è positivo perché opportunamente sfruttato può costituire un volano per l’economia locale. Esperienze precedenti però insegnano che bisogna essere cauti e trovare la soluzione migliore. Il pensiero va a quanto è stato detto impropriamente dopo il sisma emiliano: a oggi non ci sono opinioni condivise circa le relazioni tra estrazioni e terremoti. In Basilicata invece le criticità evidenziate sono di natura ambientale, del resto in tutto l’Occidente il binomio sviluppo e ambiente è al centro dei dibattiti e suscita preoccupazioni. In Irpinia tuttavia siamo ancora in una fase di studio dell’entità della risorsa presente nel sottosuolo; se verrà ritenuta rilevante, si dovranno mettere a punto tutti gli aspetti relativi alla cura dell’ambiente».

Quando parliamo di tutela dell’ambiente, in Irpinia parliamo inevitabilmente di acqua.

«Certo. Anche l’acqua è una risorsa del sottosuolo, ma si colloca a profondità diverse rispetto al petrolio. Gli oli e i combustibili si trovano molto più giù – parliamo di migliaia di metri – rispetto alle risorse idriche sfruttate dall’uomo, che invece sono prossime alla superficie. Da decenni si sviluppano tecniche per lo sfruttamento delle risorse e la tutela delle stesse, anche in regioni difficili e problematiche come l’Irpinia. Non è perciò corretto demonizzare le attività petrolifere e sta anche a chi fa informazione, non cavalcare solo l’onda emotiva del dissenso. E’ troppo facile dire ciò che non va. Bisogna piuttosto aiutare a capire che c’è uno Stato, ci sono tecnici, ricercatori e professionalità varie pagati per fare studi. Il rischio di inquinare le falde acquifere c’è, ma quando parliamo di rischio parliamo di probabilità, cose che vanno definite di volta in volta elaborando un modello geologico. Cosa che le multinazionali hanno interesse a fare, anche perché obbligate dallo Stato a questo tipo di valutazione. Quando qualcosa non è fatta con criterio, bisogna chiedersi lo Stato dov’è e di conseguenza le Regioni che da esso sono delegate. Il petrolio non è loro competenza esclusiva, c’è pure il controllo del ministero dell’Ambiente in Campania come in Basilicata ed è altrettanto evidente che, come in terra lucana, se gli studi in corso in Irpinia andranno avanti e porteranno a risultati il legislatore regionale dovrà adeguare la normativa regionale per tutelare il territorio».

E qui entrano in gioco i comitati.

«Esatto. L’attenzione mediatica e della società deve indirizzarsi al sollecitare i legislatori regionali affinché si mettano al pari con altre realtà. Sulla geotermia ad esempio in Campania siamo indietro. Il ruolo dei comitati è importante proprio se rivolto a questo tipo di sollecitazioni. Vorrei fare una precisazione però…».

Prego.

«Ci sono diverse scuole di pensiero portate avanti da colleghi esperti o presunti tali. Voglio dire una cosa a questo riguardo: il geologo è come un medico, c’è il medico di base e gli specialisti. Sul petrolio bisogna far parlare chi è preparato per farlo, gli esperti appunto》.

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