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Riforme all’italiana: ipocrisie renziane

Durante la Festa de l’Unità di Pomigliano d’Arco, Filippo Taddei, responsabile economia della segreteria nazionale del PD, fece un lungo elenco di riforme sulle quali il governo stava lavorando. Il tema della serata era il Jobs Act che, secondo alcuni che parteciparono al dibattito, di americano, perché agli USA si ispira, tiene poco. Taddei annuì.

Da qualche giorno, alimentato anche dalla stampa nazionale e locale, è in discussione la questione dei pagamenti con il Pos, il sistema elettronico che permette di pagare con carte di credito o debito, in qualsiasi parte d’Italia ed in tutti gli esercizi convenzionati. La riforma del Ministro dell’Economia va nella direzione di ridurre sensibilmente la pressante evasione fiscale che mette ai primi posti, di questa particolare classifica, il nostro paese, dove il contante circola ancora per l’84% delle transazioni.

In un recente articolo del Sole 24 Ore, si passa in rassegna chi dovrà avere il dispositivo elettronico per i pagamenti, la non obbligatorietà e quanto costa averlo.

Ebbene si, avere il Pos in un negozio o in uno studio ha un costo che varia a seconda delle transazioni che vengono effettuate, più il fisso di attivazione e mensile e la linea telefonica indispensabile per l’utilizzo. In più, nella norma, non è prevista sanzione in caso di violazione.

Molte sono le categorie sul piede di guerra contro il suo utilizzo, soprattutto perché la soglia minima per i pagamenti elettronici è di 30€. Su Il Mattino, è stata ripresa la polemica particolare iniziata in provincia di Napoli, proprio a Pomigliano, il cosiddetto “sciopero anti pos”. In sostanza, gli esercizi commerciali offriranno uno sconto a chi paga in contanti.

Sulla vicenda del Pos, si ha la sensazione che gli ultimi governi che si sono alternati, amino tanto i modelli anglofono, salvo poi farne versioni italiote che hanno poco di originale, se non per le conseguenze sulla collettività. A Londra, ad esempio, avere un conto ed una carta per qualsiasi lavoratore medio, effettuare pagamenti o prelevare contante, non ha un costo. È facile, quindi, indurre i contribuenti a diminuire l’uso dei contanti e a controllare meglio l’evasione fiscale. In Italia, prima di risolvere i problemi dei costi con le banche, si scaricano sui cittadini gli effetti delle riforme, per poi un giorno accorgersi che, forse, si sarebbe dovuti partire da altre direzioni: eliminare il costo di un conto in banca, tanto per fare un esempio.

L’ultimo atto del governo, almeno in ordine di tempo, è il decreto del Ministro Franceschini, anticipato da Il Fatto Quotidiano. Il Responsabile dei Beni e delle Attività Culturali ha deciso di caricare con un sovrapprezzo tutte le nuove tecnologie. Per intenderci, dallo smartphone, al pc, passando per le tv di ultima generazione. L’idea alla base del provvedimento dovrebbe essere quella di recupere “150 milioni di euro l’anno, di cui 10 saranno girati alle casse della Siae”, per ripagarla degli ammanchi dovuti alla pirateria.

Ancora una volta, tutti i cittadini saranno colpiti da provvedimenti che di utile hanno solo una cosa: recuperare soldi e salvare i grandi gruppi di interesse.

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