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Carceri: la presentazione del libro di Samuele Ciambriello a palazzo Farnese

“Ho iniziato incontrando persone rinchiuse sottoterra. Fondai la prima cooperativa sociale Agorà  per rivalutare e includere i detenuti. Quando sono diventato Assessore Regionale, il mio primo collaboratore, ogni mattina arrivava dalla casa circondariale di Bellizzi Irpino. Ogni giorno incontro migliaia di detenuti, e vi assicuro che, dopo tanti anni mi fa ancora impressione, continua a produrre in me un vago senso di estraneazione. Me lo fa ancora adesso che attraverso questi spazi, questa volta come Garante regionale dei detenuti.  Il nostro scopo è quello infondere speranza, tutti noi dobbiamo impegnarci di più. Non solo per liberarci dalle carceri ma per liberarci dall’indifferenza.”

Così, Samuele Ciambriello , presenta il suo libro alla comunità stabiese, a palazzo Farnese nell’aula consiliare intitolata ai giudici Falcone e Borsellino, alla presenza degli operatori della comunicazione e nel pieno rispetto delle norme di sicurezza anti-contagio. Non è mancato il saluto dell’avv. Sabrina Di Gennaro, Assessore Politiche Sociali ed Emergenza Sociale di Castellammare di Stabia.

Ciambriello, giornalista, scrittore, professore, nonché Garante dei detenuti della Regione Campania da ottobre 2017, racconta in “Carcere. Idee, proposte e riflessioni”, di una battaglia, che non può essere fatta da una singola persona, ma una sfida civile. Fatta non di eroi ma di persone impegnate nella lotta per la dignità delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà.

Il Professor Ciambriello, dopo diversi anni, ha sentito l’esigenza di ‘scrivere di carcere’, di trattare del complesso sistema penitenziario, ma soprattutto delle esperienze di vita vissuta in esso annidate, di diritti negati, di affettività, partendo da un’attenta analisi, attraverso attività di monitoraggio, osservazioni, colloqui, sopralluoghi, progetti, il tutto rifacendosi all’art. 27 della Costituzione, che recita “Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”.

Durante la presentazione, miei cari lettori,  tante le testimonianze che hanno lasciato a bocca aperta, in particolare l’intervento del Magistrato, Nicola Graziano: ” Mi sono fatto rinchiudere in un carcere, abusivamente. Dovevo capire fino in fondo il diritto penitenziario e andare oltre lo stigma del pregiudizio.  Quattro cose ho bene impresse nella testa e che non dimenticherò mai, e come me, ogni persona che mette piede lì dentro anche per un solo giorno; il colore, il rumore, l’odore e gli sguardi. Nessuno più si libera del carcere. Ricordate, il valore della libertà è un valore fondamentale. “

Per aiutare a far capire fino in fondo lo studio, le riflessioni del libro, l’autore ha invitato alla presentazione il Cappellano del Carcere di Secondigliano, Don Giovanni Russo, che ha raccontato di quanto sia difficile il tema della fede nelle carceri. Religione e carcere, due ‘luoghi’ all’interno dei quali si intersecano i momenti di ‘passione’ più intensi delle esperienze umane, sezioni circolari della nostra sfera emotiva elevate all’ennesima potenza. Due realtà che si intersecano, che si scontrano, che si ritrovano a ‘lavorare’ assieme, in simbiosi, per volere del diritto e della consuetudine storica che ha affiancato ad ogni istituzione totale e ad ogni funzione di controllo la magica ‘rete di protezione’ della fede e del culto religioso cattolico.  Il Cappellano ha raccontato della sua unica priorità: ” Fornire una finestra su Dio così che Lui ne dia al detenuto una sul mondo. Anche solo nel semplice gesto di informarsi su come sta – continua – chiedergli da dove viene… perché la sofferenza e l’angoscia le vedi direttamente dagli occhi e non c’è bisogno di alcuna domanda.” 

Don Giovanni ha raccontato di quanto la loro presenza è sentita come importantissima dai carcerati per lo spessore umano che alcuni religiosi dimostrano, per il legame personale e di fiducia che a volte si viene a creare con il recluso, per la speranza e l’affetto che molti ricevono, al di fuori del momento religioso. Un vincolo stretto, una vicinanza costante che non di rado lega detenuto e cappellano come se tra loro intercorresse un rapporto di filiazione.

 

 

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