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La dieta del futuro potrebbe essere a base di alghe e molluschi, e il pianeta ringrazierà

Ormai è chiaro: il cibo che mangiamo ha un impatto importante sull’ambiente in cui viviamo. In sostanza, dalle nostre scelte alimentari può dipendere il futuro (e la sopravvivenza) del nostro pianeta. Non è un caso che negli ultimi anni sia aumentato esponenzialmente il numero di persone vegetariane e vegane, che hanno fatto della questione etica e ambientale la conditio sine qua non del proprio regime alimentare. Se la via di mezzo all’eliminazione totale dei prodotti di origine animale è la dieta flexitariana, che la riduce ai minimi termini pur mantenendosi flessibile sull’argomento, un nuovo studio condotto dal professor Ole G. Mouritsen dell’Università di Copenaghen enuncia che la dieta per un futuro eco-friendly sarebbe a base di piccoli pesci, alghe e molluschi, fonti alternative ma preziose di proteine e acidi grassi buoni.

Secondo lo studio il mare, e più specificatamente i fondali marini, sarebbero in grado di offrirci fonti di pesca sostenibili attualmente ignorate dalla pesca industriale, che consentirebbero di ridurre drasticamente le emissioni di CO2 determinate dalla produzione di carne. Tra le specie più favoreli, spiega Mouritsen, ci sarebbe il cicirello, che depone le uova nei fondali, lo spratto, un parente dell’aringa, e il gobi, un altro pesce di piccola taglia. Prediligendo queste specie, si eviterebbe poi lo sfruttamento di qualità più conosciute come merluzzo, platessa e salmone, precisa il professore.

Al centro della food revolution sostenibile ci sarebbero le alghe, alimenti ricchissimi di proteine, iodio e vitamine già note alla cultura asiatica ma ancora poco presenti in quella occidentale.

Ma non è tutto: al centro della food revolution del futuro ci sarebbero le alghe, alimenti ricchissimi di proteine, iodio e vitamine già note alla cultura asiatica ma ancora poco presenti in quella occidentale. Secondo il professore danese, le alghe sono una fonte alimentare estremamente sostenibile per l’ambiente, ma solo 500 specie su 10 mila sono attualmente consumate dall’uomo. Discorso analogo per quanto riguarda la famiglia dei cefalopodi (a cui appartengono, per intenderci, seppie, calamari e polpo), dei quali sfruttiamo solo 30 specie su circa 800 esistenti. Il futuro del pianeta, in sostanza, potrebbe dipendere sempre di più dal mare. E dalla nostra voglia di sperimentare.

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