Cultura

Sorrento, si è svolto presso il Teatro Parrocchiale della Cattedrale di Sorrento, il particolare incontro tematico dove i relatori si sono confrontati in un argomento particolare: Dialogo Interreligioso: un ponte alla pace

Oggi pur avendo notevoli mezzi  e materiali a disposizione sembra ancora più difficile provare a dialogare e confrontarsi alla ricerca di accordi e o soluzioni “pacifiche”.

Ha ben indrodotto gli argomenti il presidente del Rotary Club Sorrento, Paolo De Gennaro che insieme al presidente del Rotary Club Pompei  hanno dato il benvenuto alla sala gremita ed  relatori. «L’incontro dedicato al “Dialogo Interrelligioso: un ponte alla pace”, per iniziativa dei Rotary Club Sorrento, Isola di Capri,  Pompei – Villa dei Misteri con l’Arcidiocesi di Sorrento – Catellammare di Stabia, è stata un’occasione per favorire la riflessione sull’importanza del dialogo, a partire da quello interreligioso, per la comprensione delle ragioni dell’altro, per la concreta prevenzione dei conflitti,  deve costituire, uno strumento continuo per la costruzione ed il mantenimento di durevoli condizioni di pace tra i popoli.

Anche Don Raffaele Scarpato, Responsabile del Servizio Ecumenismo e Dialogo InterreligiosoArcidiocesi Sorrento – Castellammare è intervenuto portando i saluti di S.E. Rev.ma Mons. Francesco Alfano, vescovo delle Diocesi Castellammare – Sorrento. Don Raffaele  ha posto l’attenzione su un tweet di Papa Francesco:  La pace è anzitutto un atteggiamento del cuore. Nasce dalla fraternità, vive gratuità. Spinge a servire la verità. Si è poi intrattenuto in particolare con un pensiero «La pace è anzitutto un atteggiamento del cuore. Nasce dalla giustizia, cresce nella fraternità, vive di gratuità. Spinge a servire la verità». (Papa Francesco, Tweet del 23/8/2022). Iniziando con questo tweet di Papa Francesco, «ha voluto tracciare un ponte temporale per mostrare l’unità di pensiero della Chiesa dei giorni nostri con la Chiesa del Concilio ecumenico Vaticano II. «La Costituzione pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo, “Gaudium et Spes” parla della promozione della pace e sono state sottolineate alcune espressioni chiave affinché la pace venga vissuta: collaborare con tutti, rispettare gli altri, no alla corsa agli armamenti, educare i giovani e formare l’opinione pubblica con sentimenti ispiratori di pace, mutare il cuore, e sopra ogni cosa il dialogo fra tutti gli uomini, ad intra e ad extra della Chiesa cattolica, quindi con i cristiani delle altre confessioni cristiane (sottolineando che l’unità dei cristiani è attesa e desiderata da molti che non credono in Cristo, in quanto è presagio di unità e di pace), con i credenti in Dio e con chi non ha una fede nel trascendente, e anche con chi si oppone alla Chiesa e la perseguita. Non si può escludere nessuno nella costruzione del mondo nella vera pace, perché Dio Padre è principio e fine di tutti e siamo tutti chiamati ad essere fratelli così come Papa Francesco ha ribadito nella sua enciclica “Fratelli tutti”, in cui si sottolinea che un mondo più fraterno e solidale richiede l’impegno comune di tutti i credenti, perché esso è un compito arduo che i cristiani non possono svolgere da soli. È stato così citato il documento sulla “Fratellanza umana per la pace mondiale e la convivenza comune”, firmato dal Papa e dal Grande Imam di Al Azhar ad Abu Dhabi il 4 febbraio 2019, pietra miliare nella direzione della fratellanza e della pace, e il “colloquio a Najaf con il leader della comunità sciita Al-Sistani”, in Iraq, il 6 marzo 2021: due traguardi storici che si possono ben ascrivere tra i frutti del cammino intrapreso a partire dalla “Gaudium et Spes”.  Nel documento sulla “Fratellanza umana” cattolici e musulmani dichiarano di perseguire la cultura del dialogo, la collaborazione comune, la conoscenza reciproca e si impegnano a ristabilire la saggezza, la giustizia e la carità e a risvegliare il senso della religiosità tra i giovani. Il documento condanna il terrorismo e chiede di non strumentalizzare le religioni per incitare all’odio, alla violenza, all’estremismo e al fanatismo cieco, di non usare il nome di Dio per giustificare il male verso altri”. Infine non si può dimenticare che l’impegno per la pace e la giustizia è condiviso con i “fratelli maggiori” ebrei, come è evidenziato dal “Discorso alla comunità ebraica” di Papa Francesco scritto in occasione della visita alla sinagoga di Roma il 17 gennaio 2016. Una riflessione che trae diretta ispirazione dal documento del concilio Vaticano II “Nostra Aetate” sulle relazioni della Chiesa con le religioni non cristiane».

E’ stata data la parola a Mons. Lucio Sembrano , Ufficiale Dicastero per il Dialogo Interreligioso della Santa Sede «A nome del Dicastero per il Dialogo Interreligioso ringrazio per questo invito, e porto a tutti i cordiali saluti del nostro Prefetto, il Cardinale Miguel Ángel Ayuso Guixot. Il tema che vorrei trattare è quello del dialogo interreligioso come via alla pace, tema che appare quasi obbligato dato il contesto emergenziale nel quale viviamo. La pace è minacciata e violata in tante guerre settoriali, che arricchiscono solo i mercanti di armi e seminano disperazione e morte, aggravando sempre più le tensioni tra paesi ricchi e nazioni in via di sviluppo, “riportando indietro l’orologio della storia”, come ama ripetere il Presidente Mattarella a proposito dell’aggressione russa in Ucraina. 

Si è poi soffermato su diversi punti: L’urgenza della diakonia culturale, Il dialogo interculturale, infatti, apre alla scoperta dell’alterità come risorsa per crescere nella consapevolezza della propria identità, e non come minaccia da eliminare. Ma verso quale dialogo si deve puntare perché possa realizzarsi un incontro costruttivo tra differenti culture e religioni, senza false retoriche né strumentalizzazioni di pensiero? La fatica di aprirsi all’altro e alla sua cultura Aprirsi all’altro e comprenderlo non è affatto semplice, soprattutto se l’altro è straniero, estraneo. L’estraneità emerge come un contraccolpo a ciò che è familiare, noto, consueto allo sguardo sul mondo e sulla vita. A maggior ragione, se lo straniero rappresenta la dimensione più evidente dell’alterità, che destruttura appartenenze e barriere culturali e religiose.

Comprendere l’estraneo senza eliminarne l’estraneità, La manifestazione dell’altro non solo pone fine al monologo della cultura, ma avverte il soggetto del fatto che non basta più una solidarietà a tempo determinato o in dati momenti di volontariato affettivo. Ancor di più, l’indicazione di un’etica responsabile valica la soglia di un’intersoggettività a due, incrociando l’ambito sociale, politico, economico come contesto dove lottare per una vita possibile e dignitosa per tutti. Nella rivelazione ebraico-cristiana, la dimensione dell’alterità è innata ed esige l’assunzione dell’altro come paradigma della condizione umana, soprattutto se è straniero o distante dalla relazione di alleanza. L’uomo vive la sua storia come un viandante in cammino verso la ricerca di un’identità. In tale dinamismo, percepisce che il suo destino di autorealizzazione sta nella capacità di mettersi in relazione, scoprendo un modo differente di essere e di vivere. L’attenzione all’alterità, che scaturisce dall’esperienza che lo straniero è luogo rivelativo di Dio, va oltre l’accoglienza della diversità culturale, e giunge a riconoscergli pari dignità. Ponendo Dio che ama lo straniero, e che chiama a fare altrettanto, al centro del suo racconto fondativo, la Bibbia è annuncio e sfida a instaurare una polis dell’alterità, dove l’accoglienza dell’altro non sia solo un’ “eccezione”, ma il principio stesso della co-esistenza umana1 , principio accolto da una comunità che agisce per la riconciliazione nella diversità propria di ognuno.

L’incontro con l’altro mi cambia la vita, «“Oggi siamo di fronte alla grande occasione di esprimere il nostro essere fratelli, di essere altri buoni samaritani che prendono su di sé il dolore dei fallimenti, invece di fomentare odi e risentimenti. Come il viandante occasionale della nostra storia, ci vuole solo il desiderio gratuito, puro e semplice di essere popolo, di essere costanti e instancabili nell’impegno di includere, di integrare, di risollevare chi è caduto; anche se tante volte ci troviamo immersi e condannati a ripetere la logica dei violenti, di quanti nutrono ambizioni solo per sé stessi e diffondono la confusione e la menzogna. Nelle sfere della vita politica, culturale, economica ed ecologica di una società, i credenti in dialogo si coinvolgono in termini critici e profetici, perché vedono la realtà pubblica nella prospettiva del regno di Dio che viene. Lo ha ribadito Papa Francesco, ricevendo i partecipanti all’Assemblea Plenaria del Dicastero per il Dialogo Interreligioso, il 6 giugno 2022. Il dialogo interreligioso è sempre segnato da incontri difficili, non preventivati, trasformanti. Quasi attratto dall’inedito che si cela nei sentieri interrotti delle culture, nelle svolte provocate dalla ricchezza dell’altro, dell’estraneo, nel movimento che non si accontenta di confini già stabiliti e fissi, perché chi sceglie di dialogare sa che l’orizzonte di attesa di ogni persona non può fermarsi al suo spazio di esperienza. La storia dell’amicizia tra Papa Francesco e il Grand Imam di El Azhar, Ahmed al Tayyeb è molto istruttiva al riguardo. Dal 23 maggio 2016, data della visita del Grand Imam a Papa Francesco in Vaticano, ricambiata dal Pontefice con la partecipazione alla Conferenza Internazionale per la Pace al Cairo il 28 aprile 2017, è stato tutto un fiorire d’iniziative e d’incontri per la pace, culminati nella Dichiarazione sulla Fratellanza umana per la Pace mondiale e la Convivenza comune, firmata da entrambi ad Abu Dhabi il 4 febbraio 2019, che poi ha trovato la sua traduzione cattolica nell’enciclica Fratelli tutti, del 3 ottobre 2020».

Praticare la convivialità per diventare credenti migliori;

Dialogo e liberazione;

L’etica delle Beatitudini come via interreligiosa alla Pace:

«Il magistero di San Giovanni XXIII: Pacem in Terris (1963), Tuttavia, come ammoniva san Giovanni XXIII, nella Pacem in Terris, partendo dalla constatazione che il bene comune universale non si può più raggiungere attraverso i normali rapporti diplomatici intrattenuti fra le singole comunità nazionali, scaturisce la necessità di regolare tali rapporti facendo appello al principio di sussidiarietà. La comunità mondiale, con le sue istituzioni, dovrà intervenire soltanto nei casi e per gli scopi a cui l’azione delle singole comunità nazionali, o di alcune fra esse coordinate fra loro, sia manifestamente insufficiente. L’enciclica menziona la nascita dell’Organizzazione delle Nazioni Unite, che nel 1948 aveva approvato la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, ma fa notare che “sono state sollevate obiezioni e fondate riserve” sui documenti del1’ONU, invitando a sforzi ulteriori e modifiche perché le persone e i popoli trovino veramente nelle Nazioni Unite una “tutela efficace”7 . E perché – viene da riflettere oggi sulla scia delle riflessioni del Papa Buono – l’Unione Europea non è in grado di affrancarsi dal sistema NATO, che aveva senso finché esisteva il Patto di Varsavia e permaneva il clima della guerra fredda? Perché il progetto di una “comunità europea di difesa” dal 1952, data in cui fu proposto, è rimasto lettera morta? Perché non riusciamo veramente a credere che l’economia fondata sulla pace è possibile e molto più vantaggiosa per tutti? Perché non si riesce ad affrancarsi dall’egemonia dei pochi ma potentissimi centri di potere economico mondiali che esercitano una dittatura sul destino del mondo? Forse, affrontando questi problemi, e cercando di avviarli a soluzione, si potrebbe togliere terreno sotto i piedi di Putin e degli altri leader e smascherarne le pretese ideologiche giustificate con le minacce presunte o reali, mosse ai loro paesi dal cosiddetto “Occidente”! Il 28 novembre 2022, Papa Francesco, ricevendo un gruppo di docenti e studenti per un Incontro per l’educazione alla pace e alla cura8 , è tornato su San Giovanni XXIII, accostandolo a Martin Luther King. Ha detto: “Papa Giovanni si rivolse a tutti gli uomini di buona volontà, chiedendo la soluzione pacifica di tutte le guerre attraverso il dialogo e il disarmo. Fu un appello che riscosse una grande attenzione nel mondo, ben oltre la comunità cattolica, perché aveva colto un bisogno di tutta l’umanità, che è ancora quello di oggi. Per questo vi invito leggere e studiare la Pacem in terris, e a seguire questa strada per difendere e diffondere la pace. Pochi mesi dopo la pubblicazione di quell’Enciclica, un altro profeta del nostro, Il 28 novembre 2022, Papa Francesco, ricevendo un gruppo di docenti e studenti per un Incontro per l’educazione alla pace e alla cura8 , è tornato su San Giovanni XXIII, accostandolo a Martin Luther King. Ha detto: “Papa Giovanni si rivolse a tutti gli uomini di buona volontà, chiedendo la soluzione pacifica di tutte le guerre attraverso il dialogo e il disarmo. Fu un appello che riscosse una grande attenzione nel mondo, ben oltre la comunità cattolica, perché aveva colto un bisogno di tutta l’umanità, che è ancora quello di oggi. Per questo vi invito leggere e studiare la Pacem in terris, e a seguire questa strada per difendere e diffondere la pace. Pochi mesi dopo la pubblicazione di quell’Enciclica, un altro profeta del nostro».

Ha concluso  con alcune indicazioni che provengono da Fratelli tutti, «Benché la Chiesa rispetti l’autonomia della politica, non relega la propria missione all’ambito del privato. Al contrario, «non può e non deve neanche restare ai margini» nella costruzione di un mondo migliore, né trascurare di «risvegliare le forze spirituali» che possano fecondare tutta la vita sociale. È vero che i ministri religiosi non devono fare politica partitica, propria dei laici, però nemmeno possono rinunciare alla dimensione politica dell’esistenza che implica una costante attenzione al bene comune e la preoccupazione per lo sviluppo umano integrale. La Chiesa «ha un ruolo pubblico che non si esaurisce nelle sue attività di assistenza o di educazione» ma che si adopera per la «promozione dell’uomo e della fraternità universale» (ivi, 276). Non possiamo dimenticare il desiderio espresso da Gesù: che «tutti siano una sola cosa» (Gv 17,21).

L’incontro del Poverello di Assisi col Sultano Malek al-Kamel avvenuto quasi 800 anni fa9 non fu né diplomazia né tattica (cfr. Redemptoris Missio 55), ma misericordia. Come singoli credenti e persone di buona volontà, ma anche con le nostre comunità, siamo invitati a guardare oltre noi stessi e i nostri interessi, per impegnarci concretamente a costruire ponti di pace. Così facendo, scopriremo che conflitti, tensioni e persino gruppi, un tempo considerati ostili, attraverso il dialogo possono far sbocciare un’unità multiforme che dà origine alla Pace». Ha poi citato

« il testamento di DI PADRE CHRISTIAN DE CHERGE’» (Algeri, 1° dicembre 1993 Tibihrine, 1° gennaio 199).

Ha chiuso i lavori il Chiar.mo Prof. Ambrogio Bongiovanni, direttore del Centro Studi Interreligiosi della Pontificia Università Gregoriana – Roma, che si è soffermato in una attenta riflessione: Questi migranti imbarcati per giorni, che alla fine naufrago o annegano, intorno alle coste europee. Traviamo cosi, quel sogno unitivo sono le parole di Abramo, e che aveva fatto sue Giorgio La Pira, parlava di sogni unito di Abramo, in termini di Giustizia, in termini di unità in termini di pace. Era la visione di uno dei più grandi padri d’Europa, Giorgio La pira, il termine crisi, nel suo significato originario greco crisis, assume anche il significato di discernimento, siamo in situazione di crisi ma questa crisi non ci deve far perdere la speranza, perché crisi è un passaggio, Papa Francesco, epocale forse un cambio di paradigma, forse dovremmo pensare ad un cambio del sistema, se il sistema non funziona più non è detto che questo sistema debba funzionare in eterno, può darsi che in questo momento questo sistema non funziona più  perché il mondo non funziona più secondo quelle logiche, però non abbiamo grandi statisti che hanno la capacità di fare questo passaggio ma allora è un tempo di discernimento per ognuno, di riflessione in vista di cosa? Di un miglioramento, dobbiamo sempre avere la speranza. Sandro Pertini diceva  “non c’è situazione che ci aiuta a perdere la speranza”, era il periodo del terrorismo, significa che questo è un momento di crisi, ma non significa che in questo tempo non sappiamo cosa fare, è un tempo in cui dobbiamo fare discernimento, discernimento in vista di un miglioramento di un rilancio qualitativo verso una prospettiva, il cristianesimo deve offrire ad ogni credente e non credente sia i cristiani, sia i membri di altre tradizioni religiosi in particolare quelle abramitiche un contributo profondo ed unico a questa riflessione, su cosa? Sull’umanesimo, c’è bisogno di un nuovo umanesimo ma quale umanesimo? perché qui c’è una questione antropologica dietro di quale umanesimo stiamo parlando, se un umanesimo auto referenziato cioè antropocentrico o se invece di un umanesimo che comunque si relazione anche con il trascendente, vengo al punto della questione che riguarda le religioni. La tradizione biblica ci insegna due regole d’oro, le stesse sono contrassegnate dall’amore, ne prendo solo due citazioni, una dall’antico testamento e una dal nuovo testamento. Quella relativa all’antico testamento, è tratta dall’eretico che dice: quando un forestiero dimorerà presso di voi nella vostra terra non lo opprimete, il forestiero dimorante tra voi lo tratterete come colui che è nato fra voi, tu l’amerai come te stesso, perché anche voi siete stati forestieri in terra d’Egitto, io sono il Signore vostro Dio. Non esiste più io e l’altro, noi e voi.  Il secondo è sulla carità l’approccio verso gli altri, quella che è la regola doro per eccellenza dal nuovo testamento, tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro, questa è infatti la legge dei profeti, proattiva non fare a gli altri, ma tutto ciò che   volete che facciano per voi, fatelo, non è non fare, ma se devi fare qualcosa verso gli altri, quindi è proattivo, tutto è proattivo antico e nuovo testamento si caratterizzano da questa pro attività dall’essere per l’altro Non essere con l’altro, o andare dall’altro, insomma non ci facciamo del male ma neanche del bene, qui è tutto per l’altro, totalmente essere per l’altro. La ricchezza di tali insegnamenti biblici rappresenta la base dove è stato costruita anche la nuova Europa, quando abbiamo fatto il preambolo della costituzione europea, ci siamo azzuffati se mettere le radici cristiane o no, i valori religiosi, alla fine li abbiamo messi da parte in toto, ci siamo dimenticato di tutto, il discorso era su questo discorso, ci stiamo riferendo a questi valori, non ad altri valori, a questi punti cardine della nostra tesi, non ero molto favorevole a strumentalizzare la fede, addirittura sono nati partiti politici su queste intenzioni, comportandosi con lo sbandieramento di crocifissi e santi da tutte le parti, da troppo tempo sostengo che il fondamentalismo laico si nutre di simboli religiosi. Sostenendo sempre di non strumentalizzare questi simboli, quando è montata la polemica di mettere i crocifissi, spesso rispondevo a queste persone: a casa sua c’è l’ha? No! Perché lo vuole??  Io sono il primo che lo vuole, ma iniziamo a dare un significato profondo non per creare steccati, il crocifisso è il simbolo per noi cristiani di donazione totale, non è per dividere, quindi il simbolo religioso e questi brani biblici ci insegnano qualcos’altro, ci insegnano una totale apertura verso l’altro. La ricchezza di tale insegnamento biblici è offerta a tutti e si è pensato al mediterraneo come ponte tra popoli diversi. Mare nostrum, perché mare di tutti, l’insieme di tre continenti. Comunque di tutte le critiche severe di questa crisi sistemica ed etica possiamo vedere nonostante tutte queste critiche, possiamo vedere alcuni segnali positivi di speranza, di prospettive, di opportunità per un nuovo umanesimo, sia a livello di base che a livello civile delle comunità religiose. Un umanesimo che può prendere forma  dalla cultura del dialogo della solidarietà che sta caratterizzando tante comunità e gruppi e persone nella loro vita concreta religiosa e nel loro impegno sociale, i riflettori non sono certamente su questi gruppi che lavorano abbiamo citato alcune esperienze concrete in certi paesi, in certi paesi anche di conflitto c’è sempre un avamposto di dialogo c’è sempre qualcuno che dialoga, ho avuto modo di dialogare con la comunità di Mar Musa, fondata da padre Dall’Oglio, gesuita, che è andato a parlare con l’ISIS in sparito da tanti anni, sono li,  è stato ordinato Vescovo Padre Jacques Mourad che è stato rapito dall’Isis, sono questi strumenti di dialogo, di collaborazione in situazione di conflitto, ad esempio in Siria non si può andare nonostante la condizione drammatica, non si possono inviare fondi, non sappiamo   nemmeno dove mandare i fondi per gli aiuti ai terremotati data l’instabilità, di questo non se ne parla… Il terremoto ha toccato la Siria come la Turchia ma noi non siamo in grado di far arrivare i fondi in Siria. Tuttavia vivere in un contesto sempre più plurale, non fa sì che il dialogo avvenga automaticamente, non è che noi viviamo in una situazione di pluralismo ed il dialogo avvenga automaticamente, siamo sempre più consapevoli della diversità come tratto distintivo dell’umanità. I modelli sviluppati dall’antropologia culturale ci mostrano quanto sia complessa e difficile la comprensione della diversità ed in particolare dei rapporti tra le culture e tra le religioni .

È stata una esposizione di una chiarezza inaudita, ha trattato diversi punti, ha concluso: «faccio riferimento al documento di Abu Dhabi, voluto fortemente dal Santo Padre se avessimo dovuto ascoltare i detrattori del dialogo con l’Islam, negli scorsi anni tra cui molti giornalisti, che dicevano scontro di civiltà… noi che lavoravamo nel dialogo abbiamo detto dobbiamo cucire gli strappi, dobbiamo lavorare con le persone di buona volontà che volevano portare avanti il dialogo, come il grande Iman di Al-Azhar. Grazie alla continuità degli addetti ai lavori, si giunti ad incontri importanti come quello del Bahrein, l’incontro in Kazakistan.  Nel documento di Abu Dhabi , fa riferiremo alla trascendenza, il nome di Dio è citato nel documento, non si mette Dio da parte per queste cose ci si deve confrontare anche con Dio,  nel secondo punto che ritengo interessantissimo, viene scritto il nome dei poveri, il nome degli esclusi della terra, un mio amico in Sri Lanka, mi diceva sempre c’è bisogno di un magistero dei poveri, la teologia del popolo di cui parla Francesco, imparare dai poveri, chi lavora con i poveri, sa che i poveri hanno qualcosa da dire, ed i poveri del mondo hanno qualcosa da dire.. Significa dire capovolgere il mondo, capovolgere la logica attuale del mondo, beati i poveri, capovolgimento, Dio non può essere capovolto, ma il mondo attuale Dio l’ha messo sotto, siamo autosufficienti, non abbiamo bisogno di pregare. Ho tanti amici non credenti che si comportano meglio dei credenti eticamente. Pensiamo di avere Dio in tasca a nostro uso e consumo. Il dialogo interreligioso non è soltanto teorico, nasce da questo fondamento teologico ma si interroga e fa alleanze su questioni anche etiche. Abbiamo il terrorismo, il disarmo che è centrale perché siamo religioni per la pace, la crescita globale esponenziale della vendita di armi da parte degli stati che sono stati puntualizzati da questi documenti. Dialogo, trascendenza, incontro, fratellanza, sono parole chiave che possono alimentare la pace.    

Sono stati trattati argomenti di elevata caratura culturale,  l’incontro  è stato molto apprezzato dai presenti che hanno partecipato a questo particolare “momento storico” con una certa enfasi sono stati coinvolti, al punto che al termine dei lavori sono state poste diverse domande ai relatori che con molta disponibilità si sono spesi affiche venissero soddisfatte le richieste, in modo particolare va un plauso a Paolo De Gennaro presidente del Rotary Club Sorrento, che ha voluto questo particolare incontro, Dialogo Interrelligioso: un ponte alla pace”.

 

 

 

A cura di: Raffaele Fattopace

 

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